PER LA MIA CANDELA VERDE
Un ragazzino annoiato gioca con la sua cinepresa, si aggira per la casa come
una mosca registrando qualsiasi cosa gli capiti, avvicinandosi senza
distanze di sicurezza negli anfratti organici. Fuori dal suo mondo ci sono
mamma e papà, una coppia perfetta, con la loro casa perfetta addobbata per
l'occasione: una scena con amici perfetti. <<Per la mia candela verde>> come
in una metamorfosi incontrollata alla Dr. Jekyll and Mr. Hyde, la musica
pulsa come a voler uscire dalle vene e i corpi sulla scena si trasformano in
incontrollabili bestie, mosse da irrefrenabili impulsi di istintualità poi,
qualcosa di indistinto accade, e i corpi ritornano alla loro quotidianità.
Il figlio, seduto sul divano, si alza di scatto e si impunta a quattro zampe
come una iena in cerca della sua preda e la trasformazione riprende vita:
Padre Ubu e Madre Ubu prendono vita. Una schietta demenzialità colpisce la
borghesia, i loro istinti repressi in gesti di cortesia scappano al
controllo, le parole si fanno impastate nella lingua assetata di potere di
Padre Ubu e la bellezza non trova posto nel corpo di Madre Ubu che incurva
la schiena e allarga sgraziatamente le gambe. Il ritmo dello spettacolo è
scandito dal dito di un mocciosetto amorosamente sadico che, con la sua
macchina da presa, detiene il potere di deformare l'ipocrisia dei suoi
genitori e amici. Rallenti, riavvolgimenti di pellicola, stop, primi piani,
sovrapposizioni e retroscena: il potere di cambiare la realtà nelle mani di
un ragazzino. Questo è Alfred Jarry, un ragazzino che non aveva paura di
distruggere, che disegnando un omino dal corpo "periforme" e dalla pancia
gonfia di spirale voleva affermare la sua dissacrante forza vitale contro
perbenismo e corruzione. Finanzieri, avvocati, e perché no, visti i tempi
anche giudici, clerici, politici…Tutti vanno a finire nel calderone di zuppa
polacca cucinata da Madre Ubu, nessuno si salva. La guerra per la conquista
della Polonia, l'impero del “non luogo”, ha inizio e l'esercito si arma di
scovolino da bagno, minipimer e paletta da cucina, il re di Polonia viene
decervellato, il nuovo re è Padre Ubu incoronatosi in gran fretta con il
paralume di una abat-jour e scettro di matterello. <<Viva padre Ubu>> urla
il popolo in gran festa .
Mano a mano che si va avanti il giovane ragazzino gestisce con cura la sua
rappresentazione dirigendo gli adulti nella sua opera di distruzione. Le
pietanze cucinate alla perfezione volano nell'aria come esplosioni, il
divano rovesciato diviene la cripta in cui è custodito il tesoro degli
antichi re. Si ride, molto, lasciando che ogni energia compressa del nostro
corpo trovi soddisfazione nel far vibrare la pancia. In questa grande messa
in scena succede anche che il tutto si fermi perché il padre , in un impeto
di devozione e gioia di riscoperta del gioco, si tolga l'elmetto e abbracci
il figlio, un frammento per poi ricatapultarsi nella guerra dell'assurdo.
Quest'opera, come credo Jarry la pensasse, doveva scandalizzare il pubblico
in galleria e liberare gli animi del popolo in platea mentre ora che nemmeno
l'offesa ci scandalizza, ridiamo tutti e alle volte tanto ci basta. |
ore 19.00 - Teatro La Fenice
DECLAN DONNELLAN - NICK ORMEROD / CHEEK BY JOWL
Ubu roi (100’)
prima italiana
di Alfred Jarry
regia Declan Donnellan
con Xavier Boiffier, Camille Cayol, Vincent de Bouard, Christophe
Grégoire, Cécile Leterme, Sylvain Levitte
scene Nick Ormerod
assistente alla regia Michelangelo Marchese, Bertrand Lesca
luci Pascal Noël
musica originale Davy Sladek
costumi Angie Burns
movimenti Jane Gibson
voce Valérie Bezançon
video Benoit Simon, Quentin Vigier
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