biennale arte 2013

il palazzo enciclopedico

 

55. ma esposizione internazionale d'arte

1.6-24.11

 

sarah sze

stati uniti

La Crisi come status-quo

 

di Gabriele FRANCIONI

L’artista di Boston è tra coloro che prende alla lettera Massimiliano Gioni, oltretutto creando in situ la sua iper-installazione incredibilmente complessa, attraverso un’ intelligente e meticolosa collezione di oggetti raccolti in giro per Venezia. Rispetto ad altri lavori nazionali, poi, sfida lo spazio espositivo creando qualcosa che finisce con l’essere l’antitesi completa del site specific, quasi a dichiarare la programmatica indipendenza di ciò che lei ritiene dover essere “installazione” rispetto alle costrizioni del contenitore. Se esistono installazioni centripete, quella di Sze è l’epitome - per certi versi esaltante e liberatoria - di un’opposta vocazione centrifuga, realizzata attraverso l’ esplosione di micro e medium-size objects (trouvées)  da centri molteplici, disseminati nel padiglione di Delano e Aldrich (1930, una “C” neoclassica con entrata centrale) e nello spazio antistante. Se Allora e Calzadilla avevano sfidato l’esterno ribaltandovi un iconico tank da guerra usato per fughe podistiche verso la vittoria - la sconfitta - la Sze fa a fette il padiglione, con diaframmi che lo riorganizzano, sposta l’entrata fissandola dall’ ala sinistra e, una volta dentro, lancia bombe estetiche che producono frammenti depositati(si) ovunque, tenuti insieme da fili più o meno visibili e sistemati, per così dire, in “quattro” ambiti a loro modo leggibili: osservatorio, laboratorio, planetario,  e pendolo. Nuvole formali vanno attraversate meditando sulla precarietà totale dello spazio (della Crisi), quasi che -poiché esploso - l’oggetto d’arte debba essere analizzato dall’interno, non dall’ esterno. L’artista ci dice che anche il fall-out economico ha i suoi vantaggi, perché ci apre prospettive analitiche inattese, consentendoci - o forzandoci a - uno studio percettivo dal dentro al fuori.
Il masso (fotografato) che fa scena di sé al centro della rotonda, ex-zona d’entrata, suggerisce un evento distruttivo, una caduta o la stessa pietra/pendolo felliniana di “Prova d’Orchestra”.
La libertà associativa lasciata al visitatore, quindi la possibilità di farsi curatore istantaneo, è qui totale ed esaltante, perché si entra ed esce dai quattro ambiti ogni volta portandosi via un’ immagine diversa o, fisicamente, la sensazione tattile del legno o della plastica appena sfiorati . TRIPLE POINT fa riferimento a usa sorta di equilibrio instabile della materia e,  volendo, delle economie globali: dobbiamo provare a immaginarci il fermo immagine dell’esplosione in un istante preciso, che qui definisce formalmente alcune sfere. “Planetarium”, la parte da osservare forse con meno possibilità di penetrarla, è l’esatta rappresentazione di quel fermo immagine: sostenuto da uno sgabello duchampiano, un abbozzo di planetario in listelli di legno congela l’attimo in cui parte gassosa/solida/liquida di una sostanza convivono in perfetto equilibrio reciproco, rappresentandola come una particella di materia. “Triple”, poi, serve anche a identificare un punto nello spazio grazie all’unica triangolazione possibile. L’artista è quindi alla ricerca di posizionamenti di equilibrio, anche se precario, in una situazione complessiva di frammentazione, esplosione e crollo. Noi siamo invitati a scandagliare ogni microscopico oggetto, ogni particella di materia come aventi un ruolo in questo equilibrio: solo la ratio, però, il cerchio sempre ritornante, il calcolo, la misurazione possono aiutarci in questa ricognizione.
Padiglione di altissimo livello, con uno sviluppo assolutamente inaspettato delle premesse enciclopediche ed accumulative e una declinazione personale del medium installativo
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06/6/2013

 

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biennale arte 2013

il palazzo enciclopedico
01 giugno > 24 novembre 2013