Se l’accumulazione e l’enciclopedismo contenuti nelle premesse della 55°
Biennale potevano indurre approcci diversificati, diremo che a fronte di chi
si è votato a una narrazione autocelebrativa, quindi in qualche modo a una
chiusura (UK, Argentina), c’è chi ha provato ad
ascoltare il genius loci, drammatizzando la rottura dei vincoli spaziali
del padiglione (Stati Uniti, Spagna) e chi, in splendida e
quasi totale solitudine, ha privilegiato la linea estetico-curatoriale della
totale apertura al mondo. Il Padiglione Maldive è in testa a questo
ristretto numero di rappresentanze nazionali, pur essendo
-
o forse proprio
in quanto tale
- all’esordio assoluto come presenza alla Biennale.
Non sono i poveri del pianeta che si mettono in fila per elemosinare
attenzione e accordi commerciali, sovvenzioni, finanziamenti etc e nemmeno
le vittime più colpite dai climate changes, per quanto prevalentemente
indotti dall’Occidente, che espongono il loro dramma davanti ai
colpevoli: è invece una filosofia radicata nella profondità di culture
orientali che
-
nonostante colonizzazioni di diverso grado, non ultima quella
turistica (il primo tsunami che sommerse l’ arcipelago maldiviano fu quello
di visitatori stagionali)
- dichiara una strenua volontà di dialogo.
è
vero che qui si parla principalmente di Cambiamenti Climatici, ma i
responsabili del padiglione, i curatori e gli artisti si confrontano in
realtà sul piano delle sinergie scientifiche globali come ultima
ratio contro lo sgretolamento del pianeta, non solo contro la (temuta)
scomparsa di Tuvalu e delle Maldive. Solo 2 su 17 artisti sono
maldiviani e l’approccio al tema ufficiale è assolutamente diversificato. Il
“romanticismo ecologico” del titolo, poi, accenna al ruolo della Natura come
prima opzione di vita di un popolo e alternativa alla Cultura, che chiede le
si faccia spazio, mentre l’eco-sistema chiede che non glielo si tolga.
Natura come (matrice) estetica tout-court, significa privilegiare
l’osservazione di una bellezza non perfettibile, agganciando a tale
sguardo quello più analitico del metodo scientifico, che va dalla
elaborazione di
Strategie e Tattiche di Sopravvivenza allo studio della Fisica Quantistica,
in un quadro di collaborazioni e scambi che parte da qui e arriva in
America, Medio Oriente, Europa e Australia, ovvero le zone del mondo che
hanno fornito le opere esposte nel padiglione.
Viene promosso un enciclopedismo umano -
artisti, paesi
invitati, tutti coinvolti anche in fase produttiva
- che non ha pari in
questa Biennale e sarà la linea guida degli anni a venire.
“Suono dell’Illusione” è una delle auto-definizioni scelte dall’ equipe
curatoriale principale (Camilla Boemio/Alfredo
Cramerotti), ma c’è la concreta possibilità che questo rappresenti l’unico
metodo per fare e raccontare l’Arte nel futuro vicinissimo.
A mo’ di esempio, intellettuali e scienziati provenienti da Australia, India
e Stati Uniti parteciperanno a simposi, talks o a brevi mostre per tutta la
durata della Biennale. Solo per questo, oltre che per il fascino del
contenitore-padiglione,
la Fondazione Gervasuti, dopo le acque irachene del bellissimo allestimento
visto nel 2011, dovrebbe vincere il Leone d’ Oro per la miglior
metodologia curatoriale.
Le opere esposte, tutte caratterizzate da una necessità di attenzione e di
approfondimento scientifico, privilegiano la videoarte e l’ installazione
complessa, talvolta inclusiva di video/ ritagli di giornale/fotografie, a
confermare il desiderio di documentazione e informazione, mancando persino
la nozione di ciò che può definirsi “storia delle Maldive”, fatta non di
solo turismo o dramma ambientale, ma anche di tematiche umanitarie,
femminicidi e diritti violati.
Guardiamo con piacere il video-doc di Christoph
Draeger e Heidrun
Holzfeind
("Tsunami
Architecture-The Maldives Chapter Redux”) e
quello di Khaled
Ramadan (“Maldives To Be
or Not”), mentre è inevitabile che il blocco di ghiaccio
- e il
bellissimo racconto filmato- di Stefano Cagol raccolgano un’
attenzione più “iconica”, ma non necessariamente più partecipata. Altra
presenza italiana quella di Paolo Travagli, con significative
moltiplicazioni visive ottenute attraverso l’uso di specchi. Notevoli anche
i contributi di Oliver Ressler
("Acomplete different climate”) e
Ursula Biemann
(“Deep Water”).
08/6/2013 |
Maldive/ AA. VV. - Portable Nation: Disappearence as Work in
progress - Approaches to Ecological Romanticism. Artisti: Mohamed Ali, Sama
Alshaibi, Ursula Biemann, Stefano Cagol, Wael Darwesh, Christoph Draeger &
Heidrun Holzfeind, Moomin Fouad, Thierry Geoffrey (aka Colonel), Khaled
Hafez, Hanna Husberg, Achilleas Kentonis & Maria Papacaharalambous, Laura
McLean & Kalliopi, Paul Miller (aka DJ Spooky), Gregory Niemeyer, Khaled
Ramadan, Oliver Ressler, Klaus Schafler, Patrizio Travagli, Tsipni-Kolaza,
Wooloo
Commissario: Mr. Ahmed Adeeb – Ministry of Tourism Arts & Culture
Curatorial Team: CPS – Chamber of Public Secrets (Alfredo Cramerorri, Aida
Eltoire, Khaled Ramadan). In collaboazione con Gervasuti Foundation
Curatori Associati: Maren Richter, Camilla Boemio |