biennale architettura 2012

common ground

 

13. mostra internazionale di architettura

29 agosto > 25 novembre 2012

 

vernice 2012

di Rossella TERRAGNOLI

Tarda mattinata, conferenza Danimarca: si ascoltano, in modo consequenziale, parole come "open life" e "public spaces", "kids" e "parkour" Parkour mi risuona in modo particolarmente felice, dato che è uno dei termini in qualche modo connessi al mio interesse in architettura, che al momento è per la maggior parte rivolto ai luoghi abbandonati, specie se metropolitani, e all'adattamento di cose, piante, animali e persone a questi luoghi.
Luoghi che, alla luce di questa ricerca, sono tutt' altro che morti: pullulano di tracce che parlano di vita adattata a quella specifica condizione, e, nel caso di tracce umane, parlano di vita nomade, altro argomento che mi sta particolarmente a cuore,e sto sempre parlando di architettura.

Questa è una parentesi su un mio personale interesse.

A questo punto "incollo" la definizione di parkour che si può trovare su Wikipedia: "Il parkour (paʁ.'kuʁ), abbreviato in PK, è una disciplina metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni ‘80. Consiste nel superare qualsiasi genere di ostacolo, all'interno di un percorso, adattando il proprio corpo all'ambiente circostante.
Spesso questa disciplina è confusa con il Free running, il quale si discosta dal Parkour in quanto l'efficienza viene messa in secondo piano. I primi termini utilizzati per descrivere questa forma di allenamento furono "arte dello spostamento" (art du déplacement) e "percorso" (parcours).

Il termine parkour, coniato da David Belle e Hubert Koundé nel 1998, deriva invece da parcours du combattant (percorso del combattente), ovvero il percorso di guerra utilizzato nell'addestramento militare proposto da Georges Hébert. Alla parola parcours, Koundé sostituì la "c" con la "k", per suggerire aggressività, ed eliminò la "s" muta perché contrastava con l'idea di efficienza del parkour. Un terzo termine, coniato da Sébastien Foucan, fu Free running, il quale viene però distinto dai due precedenti in quanto rappresenta una forma di movimento, nato sulla base del parkour, che ricerca la spettacolarità e l'originalità dei movimenti a scapito dell'efficenza.

I praticanti di parkour sono chiamati tracciatori (traceurs), o tracciatrici (traceuses) al femminile."

Tornando ai danesi: per l'organizzazione dei "public spaces" rivolti all' "open life" hanno osservato lo spontaneo "parkour" dei ragazzini, che, dice sorridendo uno dei sei conferenzieri, si arrampicano dappertutto e sono dei veri esploratori e interessanti fruitori dello spazio.

Si parla dell' Opera House di Oslo, un luogo che offre uno spazio fruibile in tantissimi modi diversi, tanto che lo si raccomanda, scherzando, anche alle coppiette alla ricerca di un po' d'intimità. Risatine sparse. Risatine soprattutto straniere: la maggior parte delle persone presenti alla conferenza lo sono; come del resto la maggior parte delle persone che si incontrano durante i due giorni della vernice.

La vernice è un susseguirsi piuttosto frenetico di inaugurazioni-buffet e apertura di padiglioni mediamente affollati dalla gente che ha assistito alla presentazione. Ad un certo punto della conferenza un "dettaglio" mi distrae e mi fa sorridere e pensare a lungo: tutti parlano di ambiziosi progetti, di innovazioni, di controllo dello spazio, eppure c'è sempre qualcosa che sfugge al calcolo, si verifica sempre qualcosa che sfugge al nostro affannato tentativo di controllo: l'imprevisto rivendica un suo margine, più o meno ampio.
La conferenza infatti è situata, come tutte le altre, proprio davanti all'ingresso del padiglione, in uno spazio non protetto dall'ombra degli alberi, e l'orario è quello del sole allo zenith. Perciò mi fa sorridere beffardamente vedere molte persone un po' in difficoltà a stare sedute e attente sotto i raggi "perpendicolari", considerando la carnagione diafana della maggior parte di loro. Molti usano brochure, cataloghi, e ogni sorta di cartaceo raccolto tra i padiglioni come copricapo per ripararsi dal sole, ed una volta di più appare la complessità della materia architettonica.

E' il 27 agosto e alle 14,00 c'è la conferenza Common Ground: la platea è organizzata con file di sedie di plastica trasparenti su una piattaforma quadrangolare.
Da neanche troppo lontano sembrano file di bicchieri di finto vetro disposti in file ordinate su un vassoio.

Trasformando il paragone in metafora, in effetti su quelle sedie-bicchiere prenderanno posto molte persone (in realtà la platea si riempie per circa la metà dei posti) cui verrà versato qualcosa in testa. Apre la conferenza Baratta, si presenta come un economista con un background economico, tutto quadra.La parola passa ad un docente dell' Università di Lussemburgo che introduce THE EU CITY MANIFESTO. (Ci sono alcuni ragazzi molto giovani, a occhio e croce poco più che ventenni, sembrano studenti e studentesse al seguito del Professore, che distribuiscono volantini ai partecipanti e presenziano il piccolo stand che ospita una versione del medesimo manifesto distribuito in versione gigante, che dal tavolino si srotola e si estende su parte della platea).

I conferenzieri sono sei, si spiega che EU MANIFESTO è uno "stone" fondamentale per "building new cities". Io sobbalzo sulla sedia contrariata e già sul piede di guerra, ma solo per pochi istanti, fino a che traduco correttamente "stone" nella mia testa: "stone" è "pietra" non è "mattone", quello è "brick". La differenza è sostanziale, oltre che materiale. E da qui io comincio a divagare perdendomi un po' di conferenza, ragionando su quelle antichissime pietre disposte strategicamente sul paesaggio, che per prime sono state l'agire dell' uomo sul paesaggio, l'agire dell'uomo nomade.( A chi interessasse approfondire l' origine nomade dell'architettura e molto altro, consiglio il testo di Francesco Careri "Walkscapes. Camminare come pratica estetica").

E, non so se fuori luogo o meno, mi chiedo: possiamo osare il pensiero di un' architettura nomade?

Nella storia dell' umanità non è certo alla prima comparsa, ovviamente non si tratta di andare indietro nel tempo di millenni e millenni, ma di trarre una qualche direttiva per uno sviluppo al passo coi tempi, e, di questi tempi, uno sviluppo al passo coi tempi deve essere per forza uno sviluppo sostenibile. Leggevo tempo fa che noi affidiamo praticamente tutto al senso della vista, tutto deve essere costruito per esistere, ed è prevalentemente alle cose costruite che noi affidiamo la nostra memoria (col "brick", per intenderci).

Abbiamo lasciato indietro i nostri altri 4 sensi. Siamo dotati di olfatto, tatto, udito e gusto, tutti sensi ragguardevoli e degni di nota. Se per ricordare dobbiamo vedere, mi viene spontaneo pensare: come fanno i nomadi a mantenere viva la memoria del loro popolo e delle loro radici, loro che non costruiscono niente?

Forse perché non si costruisce solo con i mattoni. Questa è una parentesi, enorme, ma solo una parentesi, per ora.

La conferenza continua.

Parla Yvette, unica donna, appassionata ed energica presenta entusiasta il progetto di EU CITY MANIFESTO. Ecco qui trascritto l'incipit del volantino consegnato ai presenti:
"Europe is going through a period of great crisis, which may turn into an opportunity, by accelerating the necessary adjustments to the new economic, social and cultural reality. There is a common ground at least in Europe: sustainable development requires different models, deploying innovative ways of thinking, synergies that branch in multiple direction and alternative initiatives, supported by great structural changes(…) this Manifesto aims to give space to the contribution of architectural thinking to the contemporary debate. Considering that it is up to public authorities to establish clear regulations to limit the excesses of the market, to adopt exemplary behaviour, to encourage groundbreaking initiatives, diversity and intelligent design,

given:

- the urgency of positioning architecture in the new European and National public policies - the crucial need of innovative visions for dealing with existing building stock and trivialization

-the urgency to give space to alternative models and experimentations in spatial development/city making."

 

Qui in seguito sono riportati i CONTATTI di EU Manifesto, anche perché, giustamente, uno studente (o un giovane architetto) ad un certo punto alza la mano e chiede, parafrasando:
"Si, va bene, va bene, ma in concreto, CHE COSA POSSO FARE IO PER VOI? COME FACCIO A LAVORARE CON VOI?"

E Yvette,risponde che si tratta di un "collettivo", e di mettersi in contatto. 

Questo vale per tutti, per chiunque voglia discutere e contribuire.

Perciò:

Sign on www.eucitymanifesto.eu

Or send the signed manifesto to: efap@efap-fepa.eu

* reference texts: www.efap-fepa.eu

E al grido di "Stop boring cities!!" Yvette conclude la sua arringa.

SITO UFFICIALE

 

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