biennale danza 2012

 

Ultima Vez/Wim Vandekeybus

BOOTY LOOTING

Teatro alle Tese - Arsenale, 23-24/6 h 20

 

di Gabriele FRANCIONI

scheda

parte prima

 

Fighting Monkey Sandwich

Ciò che il corpo non ricorda è uscito fuori da esso e dev’essere necessariamente espresso in forma non coreografica, quindi attraverso altro, ad esempio musica e fotografia in BOOTY LOOTING.

Ciò che l’occhio non ricorda - come in MONKEY SANDWICH, il film di Vandekeybus con Jerry Killick passato alla Mostra dell’anno scorso- diventa materia psicanalitica e tesse una tela testuale che non è più cinema.

Ciò che da sempre sta al centro della grande arte nordeuropea e fiamminga in particolare, da Jan Van Eyck a Brueghel sino a Rembrandt, è il conflitto tra naturalismo e spiritualismo, corpo e anima, dettaglio nominalistico e illusione ottica.

Vandekeybus, come Jan Fabre e, in un ambito non molto distante, Jan Lauwers, fanno esplodere tale dicotomia in una lacerante forma interrogativa di arte transmediale destinata ad accendere il dibattito sull’ontologia, per così dire, dei lavori prodotti, tutti sospesi, appunto, tra Corpo e Spirito.

Se a più di vent’anni dagli esordi della compagnia il pubblico si divide ancora in fazioni contrapposte, non significa tanto, o non solo, che ancora una volta le avanguardie si muovano a una velocità maggiore della possibilità cognitiva dello spettatore medio, quanto che, a forza di contaminazioni, si è giunti a un punto di non ritorno in cui è forse necessaria una parziale e temporanea sistemazione critica.

BOOTY LOOTING è assolutamente affascinante e visceralmente coinvolgente, capace com’è di parlarci di Colpa, di dilemmi e dinamiche familiari, sino a tirare in ballo la figura di Medea, facendo passare il tutto per un ragionamento stratificato sull’inadeguatezza della danza, del medium fotografico e della musica, tutte impegnate nel tentativo di esprimere la ricchezza del ricordo.

Similmente MONKEY SANDWICH metteva in scena “errori, perdite e colpe”, secondo lo stesso Vandekeybus, portando la materia narrativa in territori visivi che stavano tra Herzog e Weir, ma, come alla Biennale Danza, finendo col generare altro: non un film là, non una coreografia qua.

Nel momento in cui il troppo nuovo non comunica la sensazione di reale stupore della primissima volta, significa che non assistiamo ad una nascita, ma ad una ripetizione in forma di variazione.

Non un’epifania del differente, ma una teoria di uguali.

Perché lo straordinario DE ANIMA, a parte Guillem e Jeyasingh, si alza con infinita leggerezza sugli altri spettacoli - straordinari, sia ben chiaro - visti e amati durante questa Biennale n.8 ? Perché costruisce la propria multimedialità senza bisogno di convocare direttamente sul palcoscenico i vari media, bensì, in quell’estatica ora di pura meraviglia, raggiungendo lievemente i territori della pittura, dove ogni passo è un gesto della mano di Picasso.

 

Biennale Transmediale

La sistemazione critica cui si accennava, insomma, attiene alla collocazione di certe performance - altro termine che, insieme a multi/inter-medialità, potrebbe servire allo scopo - all’interno di un segmento espressivo che le raccolga e separi dal resto.
“Contaminazione”
è parola ormai desueta, al punto che, superati gli orizzonti critici postmodernisti, sentiamo esser giunto il momento della sintesi e non più dell’accumulazione; della Neo-Costruzione e non del Decostruzionismo; di una nuova prospettiva post-benjaminiana in cui lo sguardo al passato non sia alibi per l’uso stocastico, ipertesestuale e giustappositivo di segni pescati in un Tempo-Archivio senza direzione.

Non è improbabile, in quest’ottica, che l’annunciata Biennale delle Arti Performative possa avere un senso e ricoprire un ruolo fondamentale nella risistemazione critica ormai necessaria.

Jan Fabre, Erna Omarsdottir, Calixto Bieito e Wim Vandekeybus vi rientrerebbero a pieno titolo e senza alcun rischio di sottovalutazione critica o fraintendimento interpretativo.

Siamo difatti in puro ambito terminologico, convinti, peraltro, che l’intermedialità o transmedialità di un Castellucci o di un Sieni riesca a farsi tale pur rimanendo, miracolosamente, nei territori rispettivamente del Teatro e della Danza, mentre i citati artisti hanno bisogno di stratificazioni e convocazioni rese evidenti agli occhi dello spettatore.

Sieni e Castellucci sono come dei maghi che fanno sparire la materia espressiva per farla ricomparire, decantata, in un altrove che è sempre lo stesso, silenzioso luogo; Fabre e Vandekeybus sono invece dei fantastici giocolieri che usano affabulazione e accumulazione come esplosivo per uno spettacolo inteso a mo’ di campo di battaglia di segni spesso lasciati in libertà.

 

(Continua...)

 

ULTIMA VEZ / WIM VANDEKEYBUS (Belgio) booty Looting (prima assoluta) regia, coreografia, scene Wim Vandekeybus, interpretazione e collaborazione alla coreografia Jerry Killick, Birgit Walter, Elena Fokina, Dymitry, Szypura, Luke Jessop, Kip Johnson, assistenza artistica, drammaturgia Greet Van Poeck, assistente al movimento Máte Mészáros, musica originale eseguita dal vivo di Elko Blijweert, suono Antoine Delagoutte, luci Davy Deschepper, Francis Gahide, Wim Vandekeybus, costumi Isabelle Lhoas, Fréderick Denis, fotografia dal vivo Danny Willems, produzione Ultima Vez, in coproduzione con La Biennale di Venezia, KVS (Bruxelles), Schauspiel Köln, Ultima Vez è sostenuta delle Autorità e della Comunità fiamminga

SITO UFFICIALE

 

biennale danza 2012

awakenings
08 giugno > 24 giugno 2012