biennale danza 2012

 

Sylvie Guillem

6000 miles away

memorie dal soprasuolo

Teatro Malibran 22/6 h 20

 

di Gabriele FRANCIONI

scheda

01: BRUSII FORMALI NELL’OSCURITà

REARRAY di William Forsythe

Il movimento, come ci ricorda Virgilio Sieni, non è altro che materia/corpo che diventa forma e che va investigato in quanto parte di una memoria collettiva. La memoria del movimento è di tutti, dal bimbo all’anziano, dal ballerino professionista al danzatore per passione, dall’étoile del balletto appena sbocciata alla matura stella passata al repertorio contemporaneo.

Sylvie Guillem, che ha violentato per anni un corpo già unico per elasticità e forza, ha progressivamente abbandonato certi passi classici, ora impossibili da riprodurre a causa dell’età. Sarebbe da stabilire se la ybris umana, la fatale presunzione di fronte agli dèi, sia quella d’imporre innaturali posture al nostro fisico, come detta l’école de danse, quindi di creare forme contro natura, forzando muscoli e articolazioni (visto che esso non è stato progettato per riprodurle spontaneamente), oppure quella dei vari Nureyev o Fracci, incapaci di resistere alla tentazione di danzare oltre i 40/50 anni.

Forse lo sono entrambe.

La Guillem di queste ultime 5/6 stagioni, per parte sua non ha mai annunciato un ritorno al vecchio repertorio.

Suona quindi stonata una certa perplessità nei suoi confronti - si pensi a PUSH, attaccato da molti -  considerati i soli 47 anni d’età della stella francese.

 

Stabilita tale premessa, quello che conta maggiormente è che il suo corpo ricordi perfettamente tutto ciò che ha danzato nel passato. La meraviglia sta proprio nel modo differente - anche grazie a un Forsythe sempre destrutturante - di riproporre segmenti e  tracce di balletto. Torniamo ancora a Virgilio Sieni, secondo cui l’emozione nel vedere persino un anziano interpretare per la prima volta un passo, sta nella sua esitazione, nelle difficoltà, ma anche nella sua esperienza. Questa lo rende differente dal ballerino e per certi versi più interessante, perché ri-modella la materia formata  del movimento rendendola impacciata ma eccezionale, in senso etimologico, e irripetibile.

Proviamo quindi a immaginare cosa può significare assistere a due lavori di Mats Ek e William Forsythe, se l’anziana interprete in questione è la 47enne Guillem…

 

William Forsythe, abituato a utilizzare la ballerina come strumento per le sue scomposizioni (si pensi al capolavoro “In the Middle, Somewhat Elevated”), ha studiato 13 brevi segmenti - riassunti sotto il titolo “REARRAY”- in forma di soli e duetti ballati insieme a Massimo Murru della Scala, tempestati di frammenti classici in forma di salti, giri, arabesques, guizzi e persino braccia incrociate ai polsi, che Guillem ricorda nel buio del Teatro Malibran.

Spesso i movimenti sono impercettibili e appena intuiti dalla platea, mentre in altre occasioni gli slanci improvvisi di gambe e braccia vanno a cercare i fasci di luce. In qualche modo la scena propone due verticali, i ballerini, che tentano di conquistare spazi espressivi allungandosi in diagonali e orizzontali, destinate a mettere in rilievo l’ancora oggi incredibile estensione di gambe della francese. La naturalità - anche se rapidissima - di alcuni semplici spostamenti di peso, poi, è scossa dalla frenesia artificiale dei ricordi classici, ripercorsi anch’essi a velocità folle. La prediletta di Rudolf Nureyev espone quindi una materia-corpo ancora flessibile, una potenza che va a raccogliersi prevalentemente nei piedi (e nelle citazioni memorialistiche di punte arditissime, ad arco), ma anche la consueta e ingannevole fragilità, dovuta a gambe sottili seppur toniche e, principalmente, alla sensibilità interpretativa senza pari.

La qualità cinetica di REARRAY è comunque ininterrotta, seppur sepolta nell’oscurità del palcoscenico, e dà mostra di sè quasi fosse una sorta di brusio formale in chiaroscuro.

Coerentemente, le luci prevedono un’imprevedibile sequenza di black-out improvvisi.

 

David Morrow, autore delle musiche, raddoppia quel brusio con un ronzio nervoso di archi, che sembra materializzarsi in fasce sonore a mezz’aria, precario come le due figure che passano in dissolvenza dall’ombra alla luce. I due ballerini si toccano poco, non dovendo declinare il movimento in forma di plasticità, bensì solo come accenno elencativo, dettaglio, ricordo di forme. voto: 30/Lode

 

02: DIVA DOMESTICA IN CARDIGAN COLOR OLIVA

BYE di Mats Ek

Katrin Brannstrom disegna set e costume per il lavoro di Mats Ek, mentre la ballerina indossa un cardigan color oliva - che poi toglierà - sopra a una camicia disegnata rossoramata, nonché gonna gialla, calze rosa e scarpe col tacco.

Toglierà anche quelle.

La Guillem-mimo attraversa, con distratta sicurezza e producendo tic quotidiani, il tipico stile coreografico di Ek, attento a raccogliere spunti dalla everyday life domestica di una donna-bambina con la treccia rossa.

L’ultima sonata per pianoforte di L.V.Beethoven, Op. 111, fa un po’ incongruamente da controcanto a questo viaggio emotivo nella normalità straordinaria di un pomeriggio trascorso dancing the time away, a casa.

La vena poetico-introspettiva della francese trova una eco perfetta nel lavoro di Ek e, seppur a distanza notevole dai dettagli esplorativi di Forsythe, riesce a creare oasi di delicata perfezione. La mini-performance bohemienne cui assistiamo, fa transitare la danzatrice dal poco e brutto del contesto fino a vette coreografiche magico-evocative, finalizzate a definire il senso di quello in una pura exhibition of beauty.

Il doppio in bianco e nero della Guillem viene proiettato su uno schermo che fa da porta verso un oltre attraversato da figure assenti. La ballerina ha passato la soglia uscendovi da sopra e con essa ha giocato per un po’, grazie anche ad alcuni effetti speciali della superficie proiettiva. Primo dei quali un breve video di Elias Benxon, che mostra la danzatrice mentre si erge fino allo stipite immaginario, per poi lasciar campo alla Guillem reale.

La donna-bambina si tira la gonna all’indietro o in avanti e ne segue la linea di movimento, un po’ Chaplin, che usa il vestito come un impaccio da cui trarre spunti formali: è la forma interrogativa di una persona ancora incompiuta, senza età, spinta verso opposte estremità dall’Io e dall’Es, incerta tra l’irrealtà proiettiva e il realissimo trascinarsi domestico in una spazialità basic.

Di basico non c’è nulla, invece, nelle parentesi di erratica follia sospesa, come quando rimane (per due volte) a testa in giù, in posizione/forma di rana o demi-plier ribaltato: unica concessione a un virtuosismo ai limiti dell’impossibile, utile, se non altro, a verificare la propria perfetta forma fisica.

BYE (similissimo a SMOKE) è allo stesso tempo strepitoso e debole, commovente all’istante e concettualmente non inattaccabile a una seconda visione. La normalità, insomma, non si addice alla divina.

Nel momento in cui Ek le offre spunti e agganci prevedibili - ad esempio l’utilizzabilità di tutto lo spazio e dell’oggettistica in esso contenuta come partner infiniti di un duetto emotivo - Guillem si produce in tali meraviglie del gesto, da spostare il senso della coreografia verso ambiti di seduzione visiva troppo facile. voto: 29/30

 

03: SO WHAT

27’52” di Jiri Kylian

Aurelie Cayla e Lukas Timulak del Nederland Dance Theatre hanno aperto la serata con una coreografia di Kylian, consapevolmente concentrata in un titolo che ne annuncia laconicamente solo la durata.

Il lavoro risale al 2002 ed è distante sotto tutti i punti di vista dal resto dello spettacolo, al punto che, posto a mo’ d’introduzione, sembra volerci distrarre dall’ attesa della diva, per presentarci una possibile erede, splendida e dotatissima, ma costretta a una coreografia un po’ carente dal punto di vista concettuale.

Trattasi di continue scomparse e riapparizioni, da/sotto un panno, di Lukas Timulak e della Cayla, tesi a un abbraccio estatico, ma destinati a non incontrarsi mai (quindi a scomparire). In realtà il gioco dinamico di spinte e contro-spinte tra i due, che li allontana, non ha basi dotate di senso, se non in un genericissimo approccio esistenzialistico alle dinamiche di coppia, che, ovviamente, diventa matrice di contatti tra i corpi. Fino all’acme atteso, in cui Cayla si toglie la camicia purpurea e rimane a seno scoperto, mentre presunte tracce di Mahler rimangono nascoste (e non denudate, ahinoi) nella misteriosa rilettura sonora datane da Dirk Haubrich.voto: 24/30

 

6000 miles away produzione Sadler's Wells London / Sylvie Guillem, coproduzione Les Nuits de Fourvière / Département du Rhône, Athens Festival, Esplanade - Theatres on the Bay

Rearray coreografia, luci, costumi William Forsythe, con Sylvie Guillem, Massimo Murru, musica David Morrow, disegno luci Rachel Shipp
27’52” coreografia, scene Jirí Kylián, con Aurélie Cayla, Lukas Timulak, musica Dirk P. Haubrich, luci Kees Tjebbes, costumi Joke Visser,luci Kees Tjebbes
Bye coreografia Mats Ek con Sylvie Guillem, musica Ludwig van Beethoven (Sonata per pianoforte n.32, Op.111), scene, costumi Katrin Brännström, luci Erik Berglund, video Elias Benxon, coproduzione Dansens Hus (Stoccolma)

SITO UFFICIALE

 

biennale danza 2012

awakenings
08 giugno > 24 giugno 2012