È difficile valutare un'opera complessa come questa. Piú
difficile pensando che è ideata per modificarsi nell'arco di tutta la
giornata, con diverse condizioni ambientali, a seconda di quanta gente è
presente e l'ora del giorno in cui si va. Piú difficile ancora anche se si
arriva in un momento di pioggia battente e purtroppo il Giardino Sonoro per
la gran acqua che sta cadendo s'è arrestato.
Per fortuna viene subito ripristinato da un tecnico sbucato dal nulla, ma
sempre per la grande umidità la parte sensoriale del giardino non funziona e
entra nella modalità di riproduzione normale e non in quella interattiva.
Il Giardino Sonoro è situato in fondo all'Arsenale, nel giardino vicino al
Padiglione Italia, ed è una struttura a forma di goccia curva delimitata da
una morbida cunetta che s'alza gradualmente a partire dal punto d'ingresso
previsto fino a circondare la parte piú larga, punto focale
dell'installazione interattiva. Su tutta la cunetta sono collocati
diffusori, cosí come sui rami di un albero che sta in prossimità
dell'installazione e sulla parte di prato che costeggia il sentiero che
circonda la goccia. Nel punto focale già citato c'è un anello di metallo,
parallelo al terreno, che fa da "parapetto" intorno a un diffusore e che
funziona come uno dei punti d'interazione tra pubblico e opera.
La versione interattiva del Giardino Sonoro si basa su tre parametri per
funzionare: la luminosità dell'ambiente, la densità dei visitatori e la
prossimità di questi nei confronti dell'anello. L'installazione genera cosí
dei soundscape a partire dal materiale sonoro presente nella macchina e
dalle condizioni presenti.
Il materiale sonoro, 7 brani di 7 diversi artisti (Nicoletta Andreuccetti,
Lorenzo Brusci, Maurilio Cacciatore, Simone Conforti, Jacopo Balboni
Schilingi, Stefano Taglietti e Paolo Zavagna), è stato diviso dai
compositori stessi in frammenti piú piccoli in base alle componenti
spettrali, cioè se suonava "scuro", "normale" o "chiaro" e sulla densità,
cioè suoni lunghi e isolati contro suoni molto varî e con rapida
successione. Queste divisioni poi venivano ricombinate a seconda dei sensori
che associavano le condizioni di luminosità ambientale alla "luminosità"
sonora, e la presenza di persone alla densità acustica dei frammenti, senza
piú discernere un pezzo dall'altro, mischiando le caratteristiche simili dei
brani in un unica opera che s'evolve con l'ambiente intorno. Il suono poi
viene diretto verso i diffusori sparsi per il giardino; quelli che piú
colpiscono sono di certo quelli collocati sull'albero, che hanno forme
aerodinamiche e lucenti, ma che comunque si mescolano naturalmente tra le
fronde dell'albero, come strani frutti o nidi di singolari volatili.
Questo tipo di musica d'ambiente non è da vedere come un accompagnamento
alla scena, è diversa rispetto ai primi esperimenti di musique
d'ameublement di Erik Satie, che la voleva proprio come potenziale
elemento d'arredo (mal interpretato dai suoi contemporanei che durante la
prima esecuzione, invece di visitare la mostra cui la musica faceva da
sfondo, si misero computamente a ascoltare, con scorno di Satie). Diversa
anche dall'incidental music di Cage, non centrale a una performance, ma solo
un elemento in piú come potrebbe essere il colore d'una parete; il Giardino
Sonoro crea da sé un soundscape a partire dai materiali che ha e, se
vogliamo, dall'umore, dettato appunto dalla pioggia o dal sole, dalla gente
e dall'attenzione che questa dà all'installazione. Non si ha mai due volte
la stessa cosa, e la macchina continua a comporre anche quando nessuno la
sta a ascoltare. |