01: Glocal (Conceptual) Dance
La
visione olistica di Ismael Ivo e Paolo Baratta
L’approccio olistico di
Paolo Baratta e Ismael Ivo alla materia di loro competenza (arti visive,
performative, cinema e architettura per il Presidente; solo danza per
il Direttore) è ormai diventato il tratto caratteristico della Biennale del
terzo millennio e di gran lunga un exemplum per chi fa cultura oggi
nel mondo.
La definizione di
olistico vuole che il termine si attribuisca al modo scientifico di
studiare i fenomeni e i sistemi complessi con un approccio interdisciplinare
e globale, in antitesi con la metodologia tradizionale analitica, che si
propone di studiare separatamente le varie componenti dei fenomeni.
L’inclusione del Tutto
Artistico nella complessa e sinergica attività di organizzazione ed
“esposizione” di un progetto culturale (permanente, potremmo dire
“infinito”), parte da lontano, cioè da quel 1999, prima presidenza Baratta,
nel quale si diede vita al settore “D.M.T” - Danza, Musica, Teatro -
scindendo le ultime due componenti, unite nel 1973 sotto la direzione di
Luca Ronconi.

Ismael Ivo / OPEN DOORS
La scissione, allargando però gli orizzonti alla Danza, pose il germe di un
cambiamento radicale di quello che nel ’73 era stato definito “Ente Autonomo
dello Stato”, prima di diventare “Società di Cultura” (1998), quindi
“Fondazione” (2004).
Baratta e Ivo sono stati e sono, con ancor maggior vigore e rigore dal 2008,
i principali attori di questa estensione nello spazio - lo spazio astratto
dei territori tematici di ciascun settore - e nel tempo (con la definizione
e sviluppo di Laboratori e College, quindi, di fatto, delle tanto evocate
attività permanenti) delle attività della Fondazione Biennale di
Venezia.
Il loro olismo, quindi l’irrinunciabile globalità e interdisciplinarietà del
fare cultura dopo l’anno 2000, non ha ostacoli che non stiano nei limiti
oggettivi dei budget di partenza, superati peraltro, come ha ripetutamente
sottolineato Ismael Ivo durante la presentazione alla stampa dell’edizione
2012 di Biennale Danza, da una gestione “creativa” del suo settore, capace
di inventarsi iniziative generate dalla mente vulcanica del coreografo
brasiliano (“Choreographic Collision”, “Moving the City”, “Marathon
of the Unexpected” e ora anche “Golden Age”!) rivolte verso fruitori
sempre più direttamente coinvolti nel processo di azione/condivisione
dell’Arte.
Ciò che connota l’operato di Baratta e Ivo è una peculiarità raramente
rintracciabile nella gestione di enti e sotto-enti culturali in Italia:
annunciano di voler fare molte cose e, puntualmente, le realizzano
tutte, conducendole per mano ben oltre gli scopi prefissati. La loro
interdisciplinarietà, quindi, è tangibile, oggettiva, non velleitaria o
riempitiva (o solo di moda), come spesso accade.
Non ci capita spesso di veder realizzato quello che desideravamo, come
operatori culturali.

William Forsythe
“I can’t get no
satisfaction” potrebbe essere il motto di chi vive costantemente immerso nel
farsi dell’Arte, ma con Baratta e Ivo dobbiamo ammettere che i nostri
sogni si avverano: Trisha Brown, William Forsythe,
Virgilio Sieni, addirittura la splendida Sylvie Guillem (con brevi
coreografie, tra gli altri, di Jirì Kiliàn, Wim Vandekeybus e
dello stesso Forsythe), Pina Bausch che rivive nel lavoro di
Cristiana Morganti, il citato Vandekeybus, Erna Omasdottir - altro
link con Biennale Teatro: ha lavorato a lungo con Jan Fabre - il Balé
Teatro Castro Alves, con Badi Assad che suonerà dal vivo e tantissimo
altro, tra cui la “Biblioteca del corpo” dello stesso Ivo, tappa
finale del percorso degli OPEN DOORS 2012, in cui ciascun ballerino dei
workshop farà del suo corpo un libro e i corpi saranno raccolti come libri.
L’edizione di Biennale
Danza di quest anno è filosoficamente intesa in modo da essere così
omnicomprensiva da lasciare meravigliati e affascinati.
Secondo step dopo
la Biennale Teatro dell’autunno scorso, coinvolge la città (“Moving the
City”) e i cittadini di ogni età (si vedano i laboratori per bambini, ma
anche la citata “Golden Age”, workshop magari di un giorno solo, ma
riservato anche agli over 60).
Sulla scia di Alex
Rigola, poi, viene sviluppata l’attenzione verso la stampa, i cui operatori
potranno assistere, su prenotazione, a poche ore di laboratori e
masterclass tenuti dai coreografi invitati da Ivo e aperti a danzatori
professionisti e non.

Koffi Koko
02: Gioia del movimento
Forse l’innovazione più
sorprendente introdotta quest anno è proprio quella dei masterclass
denominati “Joy of Movement”: in pratica, dopo gli
approfondimenti di OPEN DOORS riservati ai 25 danzatori che stanno
completando “Biblioteca del Corpo”, Ivo è riuscito a convincere i vari
Sieni, Vandekeybus, Barreto e Morganti etc a tenere mini-laboratori della
durata di 2 giorni aperti sia a ballerini professionisti che a danzatori per
hobby, mentre Koffi Koko accoglierà chiunque voglia partecipare.
Durante il periodo di
Biennale Danza - 08/ 24 giugno - e a mo’ di ombrello posto a
copertura dei mini-workshop, Ivo coordinerà “Choreographic Collision 6”,
riservato invece a coreografi e a universitari provenienti da tutta
l’Italia, dove cercherà d’insegnare la sua teoria e pratica
interdisciplinare, il suo approccio olistico a giovani con formazioni
prevedibilmente più circoscritte.

Choreographic Collision
“Marathon of the
unexpected”, invece, andrà a costituirsi come piccolo festival nel
festival, occasione unica per 20 compagnie emergenti e precedentemente
selezionate di mettersi in mostra di fronte a un pubblico diverso da quello
cui normalmente sono abituate.

Marathon of the
unexpected
Prima della celebrazione
finale di “Awakenings Dance Party”, infine, sorta di rito pagano cui
tutti possono partecipare e che probabilmente sarà un cortocircuito dei
candomblè coreutici di Maria Thais (Open Doors) e dei favolosi EXIT_X di
Biennale Musica, Baratta e Ivo in pratica chiamano a raccolta l’intera
popolazione veneziana, fatta di studenti e residenti, per dimostrare che solo nella condivisione di eventi collettivi trasversali rispetto a
formazione culturale, estrazione sociale e gusti personali sta la frontiera
attuale e più avanzata dell’arte performativa.

Virgilio Sieni
03: Installazioni concettuali (in
movimento)
Focus
vox, focus musica e molto altro
Gli spettacoli di
Biennale Danza 012 vedono una decisa sottolineatura dell’elemento “voce” e
parola, intesa sia come canto che come riferimento letterario coreografato,
e l’insistenza su un accompagnamento musicale posto sullo stesso livello del
movimento.
Si va dal De Anima
di Aristotele cui fa riferimento Virgilio Sieni, appena soffermatosi sul
De rerum natura di Lucrezio in Kore, a Moving with
Pina di Cristiana Morganti, che riporterà temporaneamente in
vita la grande artista tedesca anche attraverso una vera e propria
narrazione,mentre Ismael Ivo ha annunciato di voler far propri alcuni
estratti da una recente composizione di Ivan Fedele (direttore del settore
Musica) per il suo Biblioteca del Corpo.

Cristiana Morganti
La straordinaria Badi
Assad, poi, chitarrista che vanta numerose collaborazioni in ambito
jazzistico (si veda
qui e
qui) accompagnerà dal vivo “A quem possa interesar” della compagnia Balé
Teatro Castro Alves, in uno degli eventi che già si annunciano tra i più
affascinanti di questa edizione glocal (e ipertestuale)
di Biennale Danza.

Badi Assad
A ogni indicazione di
senso, infatti, ne seguono immediatamente di analoghe o opposte, di modo che
la struttura ramificata dell’insieme finisce con l’assimilare elementi
dislocati “sopra”, “sotto” o “a lato” di quello principale.
Non c’è quindi solo
l’insieme dei performer che incrocia la città e i suoi abitanti (glocalism),
ma anche la danza che induce la musica e la musica che diventa voce e, il
tutto, che infine produce una gemmazione verticale di altro senso,
sino a raggiungere i territori dell’installazione, quindi delle Arti Visive.
La stessa “Biblioteca
del Corpo” è definita da Ivo “installazione coreografica”, così come
“installazione umana” si annuncia, sempre seguendo le parole del direttore,
“1POR1PRAUM” sempre di Balé T. C. Alves, su ideazione di Jorge
Vermelho.

Balé Teatro Castro Alves /
1POR1PRAUM
La natura installativa
trova la sua ragion d’essere nel gesto raccolto dei singoli ballerini e
nella definizione di “abitacoli” entro cui agire la propria performance,
esattamente come le “informazioni uniche e originali” di un libro, di vari
libri, sono contenute nel singolo corpo danzante dei performer impegnati
nella “Biblioteca”.

Sadler's Wells & Sylvie Guillem
Forse è proprio la
visione esplicitamente ripresa da Jorge Luis Borges, di sentieri che
si biforcano e di libri come spazi virtualmente infiniti, che contengono un
infinito numero di pagine infinitamente sottili, quindi tutto il sapere,
che può essere accostata all’impalcatura teorica su cui è costruita questa
edizione di B.D.
Di più: un ologramma
concettuale in forma di (insieme di) corpi, con facies
sempre diverse, per così dire monadicamente diverse.

Shobana Jeyasingh Dance/ TOO MORTAL
Si pensi
all’installazione coreografica, in forma di riflessione morale, Too
Mortal della compagnia Shobana Jyasingh Dance: richiede ogni volta un
luogo di culto diverso, nella fattispecie il salone SS. Filippo e Giacomo
presso il Museo Diocesano e mette in consonanza o contrasto movimento dei
ballerini e staticità (eterna) del luogo.
Il ragionamento
sulla nostra natura mortale, indotto dalla cinesi ma richiamante la fissità
dello spazio costruito, diventa esso stesso architettura del pensiero:
quindi ologramma concettuale, come si diceva.

Balé Teatro Castro Alves /
A quem possa interesar
04: In praise of.
è
obbligatorio, in calce alla nostra breve presentazione di quella che sarà
sicuramente un’edizione memorabile di Biennale Danza, dedicare qualche riga
all’operato eroico di chi si è trovato, mesi fa, a passare da uno stato di
temporanea sospensione del mandato al rinnovato (e immediato) impegno
organizzativo della Presidenza di Fondazione Biennale, tra nomine dei
Direttori annunciate in piene festività e nuovo impulso dato a quello che,
ormai, possiamo chiamare il “sistema dei Laboratori”.

Trisha Brown con la scuola Paolo Grassi di Milano
Per farlo, per una volta dobbiamo autocitarci,
prendendo le nostre parole dall’articolo conclusivo su Biennale Teatro 011,
dedicato ai “Sette Peccati” pensati da
Alex Rigola:
“(…)La catena che unisce Laboratori, Festival
vero e proprio e Asac (quest’ultimo inteso come luogo in cui si tenta
di archiviare, fissandoli, quel fuoco e gli altri eventi prodotti dalla
Biennale), produce, dopo la teoria di gruppo o sul singolo (lab/oratorio) la
pratica biennale fatta di spettacoli. Oggi affermiamo che tale catena
dev’essere tenuta viva da chi proseguirà, si spera, l’opera di Paolo
Baratta, il primo alchimista, che, come tutti i direttori da lui scelti in
questi anni, ha peccato. Non d’ira, avarizia, accidia, invidia
o superbia: ha peccato di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Negli
ultimi anni, poi, vedendo scorrergli davanti un’imbarazzante teoria di
personaggi autoproclamatisi ministri dell’arte, pastori di cultura, si è
reso responsabile persino di atti di fede, speranza e carità.
L’intera Italia della vera Cultura ha peccato
di ogni tipo di virtù teologali o cardinali, sino ad arrivare a limiti di
disumana sopportazione. Quanto più il Paese si trova in uno stato di totale
abbandono e le giovani generazioni non trovano appigli di sorta, che siano
nel passato, nell’ideologia, in semplici ideali o nella battaglia nella e
per la Polis, tanto più l’arte diventa incredibilmente necessaria,
radicalmente indispensabile, in quanto indicatrice dello stato complessivo
della comunità e unico, vero terreno di lotta politica.
Sempre di più, negli anni a venire, vogliamo
diventare schiavi della Bellezza, come in Dostoevskij, e sempre meno potremo
prescindere da chi questa bellezza la gestisce, la indirizza, la fonda, come
fa da sempre l’istituzione veneziana (…)”

Wim Vandekeybus
Gli eventi, quasi la loro sceneggiatura (mai
così ben pensata), hanno detto altro: Paolo Baratta è tornato al suo posto e
ha fatto scelte in grado, nel giro di qualche settimana, di ri-puntellare un
edificio pericolante e pronto a essere picconato da personaggi che con la
Cultura hanno pochissimo a che fare.
Dall’attivazione di laboratori anche per il
settore cinema - se ne parlò durante le conferenze/incontri che chiudevano
Biennale Arte - al progetto “Your Film Festival”, dalle nomine dei direttori
al nuovo Arsenale della Danza (con significative anticipazioni della visione
interdisciplinare e multietnica di Ivo, tra Bollywood, candomblè e butoh
sublime) è stato tutto un susseguirsi d’iniziative e un vero e proprio
rinascere della Fondazione, dopo il breve/lunghissimo momento di sospensione
in cui abbiamo trattenuto il fiato, sospesi tra lo sguardo diabolico di
Romeo Castellucci nelle Sale Apollinee oro-rosso-sangue (altro altissimo
facitore di cultura, incompreso e quasi martirizzato a Milano col suo
CONCETTO DI VOLTO NEL FIGLIO DI DIO, presentato proprio a Biennale Teatro) e
il corpo senza età di Francesca Harper.

OPEN DOORS
Nel momento più difficile, la Biennale è
riuscita, insomma, a dare lo start-up ad attività (quasi) permanenti,
chiudendo il cerchio di un percorso iniziato nel 1998-9 e allo stesso tempo
tenendosi aperta a nuovi sviluppi.
Biennale Danza 012, dall’8 al 24 giugno, sarà
una festa totale, globale e locale, un rito pagano officiato anche in luoghi
sacri, una riconciliazione tra città e istituzioni, in nome di una
ricostituita idea di Comunità cui dobbiamo tendere, in cui dobbiamo e
vogliamo vivere e che desideriamo raccontare anche a chi sembra preferire ad
essa forme di deriva o isolamento culturale.
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Arsenale della Danza / Ismael Ivo
8 / 9 / 10 giugno ore 20.00
Teatro alle Tese - Arsenale
ARSENALE DELLA DANZA / ISMAEL IVO (Italia)
Biblioteca del corpo (prima assoluta)
ideazione, coreografia Ismael Ivo
con i danzatori dell’Arsenale della Danza
Patrícia Bergantin, Giulia Brenzan, Elisa Capecchi, Marina Cervo, César Dias
Cirqueira, Martina Fasano, Giampaolo Gobbi, Arianna Henry, Tunai Denise
Jones, Malcolm Matheus, Stefano Marletta, Jane Alison McKinney, Ariadne
Mikou, Antonio Nicastro, Guilherme Nunes, Giuseppe Paolicelli, Domenico
Russo, Valentina Schisa, Paula Sousa, Leilane Teles, Felipe Torquatto, Lucas
Valente, Richard Villaverde, Elisabetta Violante, Miles Edward Yeung
scene Marcel Kaskeline
luci Marco Policastro
produzione la Biennale di Venezia
Inaugura l’8. Festival Internazionale di Danza Contemporanea, l’8 giugno al
Teatro alle Tese (ore 20.00), Biblioteca del corpo, la nuova coreografia di
Ismael Ivo con i 25 danzatori dell’Arsenale della Danza, giovani tra i 19 e
i 30 anni provenienti da Italia, Stati Uniti, Grecia e Brasile. Dopo il
debutto a Venezia, la nuova creazione di Ismael Ivo proseguirà in tournée in
Italia, in collaborazione con Arteven, e all’estero, in collaborazione con
il SESC (Serviço Social do Comércio) di San Paolo del Brasile. Biblioteca
del corpo sarà a Legnago (13 giugno), Vicenza (14 giugno), Treviso (16
giugno) e infine a San Paolo del Brasile (27 e 28 luglio).
Riecheggiando il celebre racconto di Borges, La Biblioteca di Babele, Ismael
Ivo compone una sua personale “biblioteca del corpo” distribuita in tante
“sale”, ognuna intitolata a un tema diverso, seguendo un percorso circolare:
Bozzolo, Studio di Marina, Risvegli, Studio di Muybridge, Il giardino dei
sentieri che si biforcano, Bozzolo.
“Con Biblioteca del corpo – scrive Ismael Ivo - continuo il mio percorso di
esplorazione fisica. È per me infinitamente affascinante vedere il corpo
come un sensore e un documento delle nostre vite e delle nostre esistenze.
Biblioteca del corpo è una installazione coreografica, una sorta di
impalcatura concettuale in cui i corpi sono raccolti come un libro. Il punto
di partenza è l’idea che ogni individuo rappresenta di per sé un libro che
contiene informazioni uniche e originali. Queste informazioni segrete sono
inimitabili. Ma il libro individuale deve essere aperto per poter rivelare i
suoi diversi aspetti, i difetti, le qualità e le potenzialità. In questo
processo, ogni singolo libro, pur se originale di per sé, è solo un volume
della grande enciclopedia umana.
Qui sta il miracolo, la sfida e la partita. In che ordine devono essere
messi i libri? C’è una combinazione chiara o una determinata logica da
seguire? Il corpo è un libro. Ogni funzione o disfunzione del corpo può
condurre alla chiave di una nuova scoperta. La forma simmetrica è completa
solo se può aggiungere il suo contrario. Il concetto tradizionale di
funzionamento perfetto del corpo ha senso solo se lascia spazio alla
coesistenza con l’imperfezione. Questa composizione e scomposizione cerca di
trasformare lo spazio fisico. È un modo per esplorare e rivelare nuove
possibilità. Al centro c’è l’investigazione del processo creativo. Il corpo
è un libro di strane idee e possibilità. Questa scoperta è abbracciata con
passione. Potrebbe aiutarci a rinnovare la capacità di capire noi stessi”.
Con Biblioteca del corpo, lo spettacolo che conclude la sessione di studi
dell’Arsenale della Danza per il 2012 e inaugura contemporaneamente l’8.
Festival Internazionale di Danza Contemporanea, il programma di laboratori e
ricerca della Biennale di Venezia trova un punto di ricongiungimento
all’attività festivaliera, instaurando un rapporto attivo tra festival e
creatività.
In linea di continuità con il programma Educational della Biennale, che
intende sollecitare l’interesse e la percezione del contemporaneo nei
giovani, fornendogli gli strumenti necessari per accedervi, il mese di prove
che precede il debutto dello spettacolo prevederà anche appuntamenti
dedicati agli studenti. Il movimento come espressione artistica,
l’approfondimento del processo coreografico, il vocabolario della danza oggi
troveranno dimostrazione efficace e diretta nei workshop pratico-interattivi
organizzarti nel luogo stesso dell’ideazione coreografica, al Teatro Piccolo
Arsenale, dove Ismael Ivo e i 25 danzatori dell’Arsenale della Danza
sveleranno la genesi di uno spettacolo.
Compagnia Virgilio Sieni
8 / 9 / 10 giugno ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
COMPAGNIA VIRGILIO SIENI (Italia)
De anima (prima assoluta)
regia, coreografia, scene, costumi Virgilio Sieni
interpretazione e collaborazione alla coreografia Ramona Caia, Giulia
Mureddu, Jari Boldrini, Nicola Cisternino, Andrea Rampazzo, Davide Valrosso
musica originale Ernst Reijseger
luci Davide Cavandoli
produzione Compagnia Virgilio Sieni, la Biennale di Venezia
Ritorna a Venezia Virgilio Sieni, coreografo di statura internazionale e
autore di una delle più significative ricerche nel campo della danza, di cui
è uno dei protagonisti a partire dagli anni ’80. A Venezia e alla Biennale
Sieni presenterà in prima assoluta il suo nuovo lavoro, dopo Tristi Tropici,
lanciato proprio all’ultima edizione del Festival di Danza prima di
approdare alla Biennale di Lione. Spesso ispirato alla grande poesia, alla
letteratura e alla filosofia – dal lucreziano De rerum natura all’ultimo
Kore, sul mito di Persefone riletto da Giorgio Agamben – l’artista toscano
accoglie questa volta le suggestioni del De anima di Aristotele.
“Le danze sono come una raccolta di appunti. Arrivano dal buio, dal fondo,
vicine. Danzano sempre nel loro essere attratti l'uno dall'altro. Entrano a
folate, sembrano gruppi di famiglie, giochi di amici, esistenze lasciate e
poi cullate: il tutto si sostiene tra corpi che cedono. Folate che fanno
emergere una raccolta di quadri: tutti appunti, margini, pieghe sull'anima.
Ogni quadro, come dei brevi racconti, cerca di esporre dei quesiti sul filo
della narrazione: sono danze composte di accelerazioni, declinazioni e
sospensioni verso l'attesa. Figure compassionevoli che rimandano
lontanamente ai saltimbanchi, giocolieri e arlecchini di Picasso.
In questo arrivare dal fondo, nel presentarsi in scena, si cerca di esporre
un ciclo di figure ai bordi di stanze immerse nella penombra dove il
realismo si scioglie nella caduta continua nelle forme dell'anima.
Stanze del vivere in quanto sempre in attesa dell'altro.
L'anima come forma del vivente (Aristotele) apre a squarci dell'umano.
In questo contesto emergono le figure dello spettacolo, apparentemente
malinconiche. Un'oscurità profonda, un'instabilità umana che nutre, in
questo caso, il sorriso e l'ingegno originario dei danzatori.
La tattilità agita come sostanza trasparente è la vera origine di ogni
quadro, pensando alla luce del gesto sempre procurata dal calore delle
rotazioni.
Ogni danza è anche pensata secondo alcune indicazioni tratte dal De anima di
Aristotele sui “sensibili comuni” a più sensi, il movimento, la quiete, il
numero, la figura, la grandezza, che ci avvolgono in una ampia
consapevolezza nei confronti degli altri corpi; così come il medium di ogni
senso, quel canale che ci lega organicamente al flusso denso
dell'invisibile.
E infine, chi sono questi giovani dal viso pallido che arrivano dal fondo,
declinati con forza e abbandono al gesto della danza, e che noi incontriamo
lungo il sentiero impervio della quotidianità? Senza volerlo ci indicano il
tempo racchiuso nelle particelle di movimento che formano la figura fragile
del passaggio nel trasparente del bosco: come boscaioli vedono nella fitta
selva i sentieri erranti che edificano il corpo nel suo abbandono al gioco
fanciullesco della maturità” (Virgilio Sieni).
Cristiana Morganti
12 / 13 giugno ore 20.00
Sala delle Colonne - Ca’ Giustinian
CRISTIANA MORGANTI (Italia)
Moving with Pina
una conferenza danzata sulla poetica, la tecnica, la creatività di Pina
Bausch
di e con Cristiana Morganti
produzione Centro Culturale il Funaro – Pistoia
Moving with Pina nasce nel 2010 da un omaggio ideato da Leonetta
Bentivoglio, a lungo critico di danza e appassionata esegeta del Tanztheater
di Pina Bausch. Racconta Cristiana Morganti - danzatrice della storica
compagnia di Wuppertal - che dell’assolo è autrice e interprete: “Per
l’occasione mi chiese di realizzare una performance di circa un’ora e io mi
ricordai delle lezioni di danza espressionista che avevo preparato assieme a
Pina nelle quali, accanto alla tecnica, mi aveva consigliato di utilizzare
molti esempi esplicativi e frasi di movimento. Da questo è nato il mio
spettacolo e l’intento di spiegare il lavoro che c’è dietro il teatro e la
danza”. Dopo il debutto e l’accoglienza partecipata del pubblico, la
Biennale di Venezia, che aveva consacrato questa sacerdotessa della danza
con il Leone d’oro alla carriera nel 2007, si è unita ai molti teatri che
hanno via via voluto ricordarla, presentando anche a Venezia Moving with
Pina.
Il ritratto di Pina Bausch, velato da affettuosa nostalgia, è soprattutto la
rievocazione danzata – tra narrazione e brani di repertorio, a partire dal
celebre Sacre - del suo universo creativo, il suo metodo di lavoro, la
genesi di un gesto e di uno spettacolo, i modi e i tempi e anche la vita di
una intera compagnia. Tutto ciò riannodando, lungo il filo della memoria, i
momenti di vita vissuta in prima persona da Cristiana Morganti, il suo
percorso artistico e umano nella compagnia di Wuppertal. Svelare com’è
costruito un assolo, qual è la relazione dell’emozione con il movimento,
quando il gesto diventa danza, come si crea il misterioso e magico legame
tra l’artista e il pubblico, è una singolare lezione di danza ma anche di
vita.
Cristiana Morganti, diplomata in danza classica all’Accademia Nazionale di
Danza di Roma e poi alla Folkwang Hochschule di Essen, dal 1993 è danzatrice
solista del Tanztheater di Wuppertal, dove lavora tutt’oggi. Accanto
all’impegno costante nella compagnia di Pina Bausch, Cristiana Morganti ha
lavorato anche con Susanne Linke, Urs Dietrich, Joachim Schlömer, Felix
Ruckert e nella compagnia di Wanda Golonka, Neuer Tanz. Insegna
all’Accademia Nazionale di Danza di Roma e al Conservatoire National
Supérieur di Parigi.
Balé do Teatro Castro Alves
13 / 14 / 15 / 16 / 17 giugno ore 14.00 > 17.00
Corderie dell’Arsenale
BALÉ DO TEATRO CASTRO ALVES (Brasile)
1POR1PRAUM (prima italiana)
ideazione, direzione artistica Jorge Vermelho
con Adriana Bamberg, Agnaldo Fonseca, Ajax Vianna, Ângela Bandiera, Dina
Tourinho, Evandro Macero, Fátima Berenguer, Gilberto Baia, Iracema
Cersósimo, José A. Sampaio, Konstanze Mello, Lila Martins, Lilian Pereira,
Luis Molina, Maria Ângela Tochilovsky, Paullo Fonseca, Renivaldo Nascimento
(Flexa II), Rosa Barreto, Solange Lucatelli, Sonia Gonçalves, Ticiana
Garrido
collaborazione alla drammaturgia Marcos Barbosa
supervisione coreografica Renata Melo
assistenti alla coreografia Anna P. Drehmer, Renivaldo Nascimento (Flexa II)
tecnica di contact improvisation Cristiano Karnas
suono Math Carvalho, Elias Batista
luci Irma Vidal
costumi Rino Carvalho in collaborazione con Centro Técnico do TCA
produzione Teatro Castro Alves
Da un Paese in forte accelerazione in tutti i campi - economico, sociale,
intellettuale – come il Brasile, ricco di un meticciato culturale che nella
danza ha trovato una delle sue espressioni più genuine, anche grazie a un
patrimonio quotidiano fatto di riti tramandati nei secoli, arriva il Balé do
Teatro Castro Alves di Salvador di Bahia. La compagnia di 36 elementi,
fondata nel 1981, fa parte delle compagnie statali impegnate principalmente
nella valorizzazione delle danze tradizionali – samba, capoeira, axé,
candomblè, danze afro-americane – tutte legate alle radici afro e rivisitate
alla luce della coreografia brasiliana contemporanea. Dopo aver girato tra
America ed Europa, a 31 anni di distanza dalla sua fondazione, il Balé do
Teatro Castro Alves raccoglie oggi danzatori di generazioni diverse e per i
“veterani” del gruppo, la nuova direzione di Jorge Vermelho, ha cercato un
repertorio calibrato, sull’esempio di Jirí Kylián con il Nederlands Dans
Theater III, dedicato a performer-interpreti che hanno superato i 40 anni.
Nei nuovi lavori, 1Por1Praum di Jorge Vermelho e A quem possa interessar di
Henrique Rodovalho, presentati alla Biennale in prima nazionale, i danzatori
del Balé do Teatro Castro Alves costruiscono una partitura di gesti
attingendo ai contenuti della memoria del corpo che è anche memoria della
vita. 1Por1Praum, come recita il titolo, è un vis à vis tra spettatori e
ballerini, ognuno dei quali ha a disposizione uno spazio dedicato, raccolto,
segreto, in cui rivelare la propria anima danzante. Dieci “abitacoli” per
dieci danzatori, autori di altrettante brevi performance, piccole schegge di
un vissuto personale, di cui si fa testimone uno spettatore per volta.
A quem possa interessar ritorna al tema autobiografico mettendo questa volta
a confronto la ricerca di un’identità individuale all’interno della
collettività. I ballerini si raccontano attraverso la parola e attraverso il
gesto, guidati dal coreografo Henrique Rodavalho, direttore della compagnia
di danza di Quasar e coreografo anche per il Nederlands Dans Theater. In
scena con i danzatori, la chitarrista e cantante di fama internazionale Badi
Assad, che con la voce e il corpo ha esplorato il mondo dei suoni creando un
personalissimo linguaggio musicale. Ben nota anche in ambito jazz, Badi
Assad, ha al suo attivo collaborazioni con artisti del calibro di Pat
Metheny e John Abercrombie.
Shobana Jeyasingh Dance
14 / 15 / 16 giugno ore 18.00, ore 20.00
Salone SS. Filippo e Giacomo, Museo Diocesano di Venezia
SHOBANA JEYASINGH DANCE (Gran Bretagna)
TooMortal (prima assoluta)
ideazione, coreografia, regia Shobana Jeyasingh
costumi Ursula Bombshell
commissionato da Dance Umbrella (Londra), la Biennale di Venezia, Dansens
Hus (Stoccolma) nell’ambito di ENPARTS – European Network of Performing Arts
con il sostegno del Programma Cultura della Commissione Europea
Pioniera di una danza “plurale” (come l’ha efficacemente definita Elisa
Vaccarino) - quella danza nata nel mondo senza confini della globalizzazione
contemporanea e frutto di innesti culturali diversi - Shobana Jeyasingh
fonde la tradizione classica indiana, il Bharatanatyam, con il linguaggio
della danza occidentale. Una tendenza nata sulle sponde della Manica, quando
Shobana si trasferisce da Madras (l’odierna Chennai) a Londra nel 1981 e
alla fine di quegli anni fonda la compagnia omonima, che debutta con un
quartetto tutto al femminile in Configurations, su musiche di Michael Nyman,
compositore con il quale nascerà una collaborazione duratura.
Successivamente la compagnia si amplierà ad altri danzatori, includendo
anche elementi maschili, ma sempre secondo il principio del plurilinguismo.
Shobana arriva per la prima volta a Venezia per la Biennale con TooMortal,
un’opera che si pone come intima riflessione sull’uomo e che per questo, sia
nella città lagunare che a Londra e a Stoccolma, dove sarà in tournée, verrà
rappresentato ogni volta in un luogo di culto diverso. Scrive Shobana nelle
note di presentazione: “La chiesa è costituzionalmente il luogo dove l’uomo
è necessariamente portato a riflettere sulla propria natura mortale; il
lavoro esplora dunque la fragilità e la resilienza dell’uomo, la caducità
del singolo di fronte all’eternità della vita in uno spazio contemplativo e
sacro per eccellenza. Concepito in e per uno spazio devozionale, TooMortal è
un lavoro gravido di atmosfera, ispirata dalla drammaticità
dell’architettura del luogo, e il movimento mette in rilievo per contrasto e
nello stesso tempo integra il ritmo e lo spazio di questi storici edifici.
Esplorando il concetto di chiesa come santuario, il pezzo offre una pausa
meditativa, intima e riflessiva rispetto al caos terrificante del mondo
esterno”.
Presentato in prima mondiale a Venezia per l’8. Festival Internazionale di
Danza Contemporanea e frutto di una coproduzione internazionale con Dance
Umbrella di Londra e Dansen Hus di Stoccolma, partner della Biennale per il
progetto europeo ENPARTS (European Network of Performing Arts), lo
spettacolo si svolgerà nel cuore di Venezia, dietro San Marco, all’interno
dell’ex convento e chiesa benedettina del 1200 circa, dedicati a San Filippo
e Giacomo, oggi spazio del Museo Diocesano di Venezia. Successivamente sarà
nelle chiese anglicane di Londra St. Mary’s Old Church (28>30 giugno), unico
esempio di chiesa elisabettiana nella capitale, St. Pancras Church (12>14
luglio), situata in uno dei distretti più celebri di Londra, Bloomsbury; poi
a Worcester, nella St. Swithun’s Church (19>21 luglio), uno dei primi esempi
di architettura georgiana giunti fino a noi; infine a settembre a Stoccolma
e Belgrado, in luoghi di culto ancora da definire.
Balé do Teatro Castro Alves
15 / 16 / 17 giugno ore 20.00
Teatro alle Tese - Arsenale
BALÉ TEATRO CASTRO ALVES (Brasile)
A quem possa interessar (prima italiana)
coreografia Henrique Rodovalho
con Adriana Bamberg, Agnaldo Fonseca, Ajáx Vianna, Alice Becker, Ângela
Bandeira, Anna Paula Drehmer, Dina Tourinho, Evandro Macedo, Fátima
Berenguer, Gilberto Baía, José Antônio Sampaio, Konstanze Mello, Lila
Martins, Lilian Pereira, Luis Molina, Maria Ângela Tochilovsky, Mônica
Nascimento, Paullo Fonseca, Renivaldo Nascimento (Flexa II), Rita Brandi,
Rosa Barreto, Solange Lucatelli, Sônia Gonçalves, Ticiana Garrido
assistente alla coreografia Anna Paula Drehmer
musiche eseguite dal vivo da Badi Assad
scene, suono Henrique Rodovalho
luci Irma Vidal, Henrique Rodovalho
costumi Márcia Ganem
produzione Teatro Castro Alves
Da un Paese in forte accelerazione in tutti i campi - economico, sociale,
intellettuale – come il Brasile, ricco di un meticciato culturale che nella
danza ha trovato una delle sue espressioni più genuine, anche grazie a un
patrimonio quotidiano fatto di riti tramandati nei secoli, arriva il Balé do
Teatro Castro Alves di Salvador di Bahia. La compagnia di 36 elementi,
fondata nel 1981, fa parte delle compagnie statali impegnate principalmente
nella valorizzazione delle danze tradizionali – samba, capoeira, axé,
candomblè, danze afro-americane – tutte legate alle radici afro e rivisitate
alla luce della coreografia brasiliana contemporanea. Dopo aver girato tra
America ed Europa, a 31 anni di distanza dalla sua fondazione, il Balé do
Teatro Castro Alves raccoglie oggi danzatori di generazioni diverse e per i
“veterani” del gruppo, la nuova direzione di Jorge Vermelho, ha cercato un
repertorio calibrato, sull’esempio di Jirí Kylián con il Nederlands Dans
Theater III, dedicato a performer-interpreti che hanno superato i 40 anni.
Nei nuovi lavori, 1Por1Praum di Jorge Vermelho e A quem possa interessar di
Henrique Rodovalho, presentati alla Biennale in prima nazionale, i danzatori
del Balé do Teatro Castro Alves costruiscono una partitura di gesti
attingendo ai contenuti della memoria del corpo che è anche memoria della
vita. 1Por1Praum, come recita il titolo, è un vis à vis tra spettatori e
ballerini, ognuno dei quali ha a disposizione uno spazio dedicato, raccolto,
segreto, in cui rivelare la propria anima danzante. Dieci “abitacoli” per
dieci danzatori, autori di altrettante brevi performance, piccole schegge di
un vissuto personale, di cui si fa testimone uno spettatore per volta.
A quem possa interessar ritorna al tema autobiografico mettendo questa volta
a confronto la ricerca di un’identità individuale all’interno della
collettività. I ballerini si raccontano attraverso la parola e attraverso il
gesto, guidati dal coreografo Henrique Rodavalho, direttore della compagnia
di danza di Quasar e coreografo anche per il Nederlands Dans Theater. In
scena con i danzatori, la chitarrista e cantante di fama internazionale Badi
Assad, che con la voce e il corpo ha esplorato il mondo dei suoni creando un
personalissimo linguaggio musicale. Ben nota anche in ambito jazz, Badi
Assad, ha al suo attivo collaborazioni con artisti del calibro di Pat
Metheny e John Abercrombie.
The Forsythe Company
15 / 16 / 17 e 22 / 23 / 24 giugno ore 19.00 > 23.00
Artiglierie dell’Arsenale
THE FORSYTHE COMPANY (Germania)
Nowhere and everywhere at the same time (prima italiana)
oggetto coreografico di William Forsythe
con Brock Labrenz
realizzazione tecnica Max Schubert
produzione The Forsythe Company
The Forsythe Company è sostenuta dalla città di Dresda e dalla regione
Sassonia, dalla città di Francoforte e dalla regione Assia, è compagnia in
residenza al Centro Europeo per le Arti HELLERAU di Dresda e al Bockenheimer
Depot di Francoforte.
Leone d’oro alla carriera all’ultimo Festival Internazionale di Danza
Contemporanea della Biennale di Venezia nel 2010, William Forsythe è un
artista in costante evoluzione che non cessa di interrogarsi sui processi
della danza, la sua struttura e la sua dinamica. Anche gli ormai celebri
“oggetti coreografici”, creati da Forsythe ed esposti nelle gallerie e nei
musei di tutto il mondo, sono uno degli strumenti di questa indagine. A
Venezia, l’artista newyorchese, porterà, in prima per l’Italia,
l’installazione coreografica Nowhere and everywhere at the Same Time.
“Dal momento che danza e coreografia sono due pratiche differenti, è
possibile per la coreografia - si chiede Forsythe - esprimere i suoi
principi e i suoi concetti in assenza del corpo?” È per rispondere a questo
interrogativo che sono nati i suoi molteplici oggetti coreografici, oggetti
che comunque non sostituiscono il corpo, semmai rappresentano “un luogo
alternativo per capire dove risiedono la creazione e l’organizzazione del
movimento”, un altro modo di esprimere il pensiero coreografico. Nowhere and
everywhere at the Same Time, presentato per la prima volta a New York nel
2005, quindi a Dresda e a Francoforte nel 2007, alla Tate Modern di Londra
nel 2009 e all’Arts Festival di Taipei lo scorso anno, arriva ora alla
Biennale di Venezia. Invaderà gli spazi delle Artiglierie dell’Arsenale con
le sue centinaia di pendoli appesi a sottili fili metallici, oscillanti
sotto la spinta dei movimenti del danzatore Brock Labrenz, teso
all’esplorazione della forza di gravità e delle potenzialità cinetiche di
questo ambiente.
Forsythe era stato per la prima volta alla Biennale di Venezia con You Made
Me a Monster, con cui aveva inaugurato il 3. Festival Internazionale di
Danza Contemporanea nel 2005; alla Biennale è poi tornato quattro anni dopo
con The Fact of Matter/Choreographic Object, questa volta invitato alla 53.
Esposizione Internazionale d’Arte dal Direttore Daniel Birnbaum, prima di
ritirare il premio alla carriera, occasione per la quale ha presentato la
coreografia N.N.N.N.
Erna Ómarsdóttir
15 / 16 giugno ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
ERNA OMARSDOTTIR/SHALALA (Islanda)
We saw monsters (nuova versione)
direzione artistica Erna Omarsdottir
ideazione Erna Ómarsdóttir, Valdimar Jóhannsson
interpretazione e collaborazione alla performance Erna Ómarsdóttir, Valdimar
Jóhannsson, Sigrígridur Soffía Níelsdóttir, Sigtryggur Berg Sigmarsson,
Ásgeir Helgi Magnússon e Lovísa Ósk Gunnarsdóttir
drammaturgia Karen Maria Jónsdóttir
musica Valdimar Jóhannsson
costumi Gabríela Fridriksdóttir, Hrafnhildur Hólmgeirsdóttir
luci Larus Björnsson, Sylvain Rausa
produzione shalala ehf, Le CNDC di Angers - progetto «accueil
studio/Ministère de la Culture et de la Communication», The National Theater
of Iceland, Reykjavíks Artfestival, città di Kópavogur
in coproduzione con la Biennale di Venezia, Berliner Festspiele -
Spielzeit’europa nell’ambito del progetto ENPARTS – European Network of
Performing Arts
con il sostegno del Programma Cultura della Commissione Europea
con il sostegno del Ministero della cultura islandese e WP Zimmer/Antwerpen,
PAF e CC De Warande in Turnhout
Sarà forse la natura estrema dell’Islanda ad aver forgiato un’artista
singolare come Erna Omarsdottir, autrice di performance potenti e
inquietanti, dove la danza si fa fisicità istintiva, quasi animalesca, e si
fonde con una musicalità estrema che viene dalle viscere. Questo modo
personalissimo di utilizzare la voce per la Omarsdottir significa “danzare
con la voce”. E spiega: “La voce è un muscolo. Si tratta di uno sviluppo
naturale del mio lavoro, si aggiunge al movimento o lo incide trasformando
anche l’ambiente. L’uso della voce per me conduce più vicino all’anima. Mi
piace sperimentare le differenze nella struttura di tutti i suoni, effetti
acustici che vengono dal basso più profondo, dagli angoli più strani e
sconosciuti del corpo. Lascio che il movimento determini la voce ma anche
l’opposto. Mi abbandono ai contrasti tra una voce satanica o il canticchiare
innocente delle ragazzine, mi faccio attraversare da tutti i suoni istintivi
dell’uomo e dell’animale, ma li estrapolo da un contesto narrativo e li
ricompongo in un paesaggio sonoro...” (A. Cacciagrano e P. Di Matteo,
“Art’o”).
Cresciuta alla scuola di Anne Teresa De Keersmaeker, il Performing Arts
Research and Training Studios di Bruxelles, dove le tecniche più avanzate
della danza contemporanea si coniugano con le altre discipline artistiche,
in particolare il teatro e la musica, poi a lungo nella compagnia di Jan
Fabre, che per lei ha coreografato un assolo che ha fatto il giro del mondo,
My Movements are alone like Street Dogs, e infine con Sidi Larbi Cherkaoui e
Les Ballets C de la B di Alain Platel, oggi Erna Omarsdottir è artista in
proprio e si divide fra la sua città natale, Reykjavík, e la culla delle sue
maggiori esperienze artistiche, Bruxelles. Negli ultimi anni le sue
creazioni, di cui è autrice e interprete, nascono dalla collaborazione con
musicisti, come Jóhann Jóhannsson e Valdimar Jóhannsson: IBM 1401 (a user
manual) nel 2002, The Mysteries of Love nel 2005 e il suo ultimo lavoro, We
saw monsters, presentato in una nuova veste alla Biennale.
Con We saw Monsters la coreografa e performer islandese intende risalire
alle radici primordiali delle nostre paure: “I mostri sono spesso creati
dalla nostra mente per paura della vita, della natura, del buio, dell’ignoto
e della morte – scrive. Perciò a volte diamo inavvertitamente forma alla
nostra idea astratta del terrore. Con il tempo, le parti si capovolgono e i
mostri reali che si trovano nella società moderna diventano la causa stessa
del terrore… Le apparenze possono ingannare e i confini tra la realtà e
l’immaginazione rischiano di confondersi”. Nato nell’ambito del progetto
ENPARTS (European Network of Performing Arts), la rete di collaborazioni
avviato dalla Biennale di Venezia con festival e istituzioni europee che
operano nel settore dello spettacolo dal vivo, We saw monsters - coprodotto
da Biennale e Berliner Festspiele - Spielzeit’europa - è un lavoro in cui
danza, canto, musica e arti visive si integrano in un’unica, poetica,
espressione artistica.
Koffi Kôkô
19 / 20 giugno ore 20.00
Teatro Piccolo Arsenale
KOFFI KÔKÔ (Benin)
La Beauté du Diable (prima italiana)
ideazione, coreografia, danza Koffi Kôkô
musica Achille Acakpo, Janos Crecelius
percussioni Pape Sambe, Achille Acakpo, Janos Crecelius
luci Peter Göhler
Dalla tradizione alla creazione. Così si potrebbe riassumere la ricerca
spirituale e insieme artistica del performer, danzatore e coreografo
beninese Koffi Kôkô, apripista della scena moderna della danza africana in
Europa, che trova espressione in un’originale sintesi tra radici nere e
cultura occidentale, di cui è esemplare Passage, l’assolo dell’84 portato in
tournée in tutto il mondo.
La sua formazione artistica è una vera e propria iniziazione alla danza,
passata attraverso i riti animisti della regione d’origine e la cultura
Nago-Yoruba, che rivivono nel potere sciamanico emanato da un originalissimo
linguaggio del corpo, veicolo di misteri inaccessibili alla parola. Il
retaggio di una danza “oracolare”, che si fa tramite della saggezza divina,
trova nuova linfa proprio quando Koffi Kôkô, a metà degli anni settanta, si
trasferisce dal Benin a Parigi e poi a New York, entrando in contatto con la
lezione di artisti come Peter Goss, Yoshi Oida, oltre alle scuole di
Katherine Dunham e Alvin Ailey.
La particolare simbiosi fra matrice afro ed esperienza occidentale di Koffi
Kôkô trova spazio anche nelle collaborazioni con alcuni tra i più importanti
rappresentanti della danza e del teatro contemporanei, tra cui figurano
Pierre Doussaint, Bruno Boêglin, Shiro Daimon e Yoshi Oida, Gabriel
Gbadamosi e i ballerini di flamenco Mari Carmen Gracia e Peter Badejo. Con
Ismael Ivo, Koffi Kôkô ha interpretato The Maids, dall’omonimo testo di Jean
Genet, per la regia di Yoshi Oida, spettacolo premiato nel 2003 con il Time
Out Award come miglior produzione dell’anno.
Koffi Kôkô arriva per la prima volta alla Biennale di Venezia con il suo
ultimo assolo, La Beauté du Diable, una novità per l’Italia, che affronta il
paradosso della vita, la dualità umana e universale del bene e del male.
Provenendo da una cultura dove questi due concetti sono considerati
un’espressione inscindibile, Koffi Kôkô s’interroga sulla percezione
giudaico-cristiana che al contrario li separa.
“Chiunque venga stregato da Koffi Kôkô dimenticherà immediatamente che
l’uomo ha creato il diavolo per spiegare il male intrinseco alla sua stessa
natura. L’assolo è spirituale, raffinatissimo... Koffi Kôkô sta in piedi,
danza, fluttua sopra ogni cosa, incluso se stesso. Ci mostra che l’Africa ha
qualcosa a che fare anche con il Butoh, quando si presenta istintivamente
molto concentrato, meditativo, con i piedi piantati a terra e allo stesso
tempo assume un’aria spirituale, fremente di energia dentro e con una calma
quasi stoica fuori. Se solo lo volesse, potrebbe facilmente entrare in
contatto con il regno dei morti. … A questo punto il vocabolario della
tradizione appartiene solo a lui, e lui gli ridà vita, con semplicità e
imprevedibilità. Non c’è dubbio che Kôkô sia un numero uno della danza. E
come tale si permette assoluta libertà e fa suonare tutti i “tasti” del suo
corpo con grande carica ironica. La Beuaté du Diable è free jazz, danzato in
dialogo con i musicisti che lo accompagnano sul palcoscenico” (Thomas Hahn,
“Tanz”).
Corso di Teatrodanza della Scuola Paolo Grassi di Milano
21 giugno ore 20.00 / 22 giugno ore 18.00
Teatro Piccolo Arsenale
TRISHA BROWN DANCE COMPANY / MILANO TEATRO SCUOLA PAOLO GRASSI (Italia)
Line Up
un progetto della Trisha Brown Dance Company con la Milano Teatro Scuola
Paolo Grassi
coreografia Trisha Brown
con gli allievi del III anno del corso di Teatrodanza coordinato da
Marinella Guatterini
Giuseppe Brancaccio, Clarissa Colombani, Eugenia Coscarella, Simona
Cutrignelli, Anita Faconti, Anna Guarinoni, Mauro Losapio, Francesco
Marilungo, Bianca Migliorati, Francesco Napoli, Camilla Parini, Eleonora
Soricaro, Marta Ventura
direzione delle prove Lisa Kraus, Elena Demyanenko
musica Bob Dylan, istruzioni verbali, metronomo
luci Paolo Latini
costumi originali di Trisha Brown, realizzati da Enza Bianchini e Nunzia
Lazzaro
Accanto all’Arsenale della Danza, un altro esempio di impegno nella
formazione di nuovi talenti è il Corso di Teatrodanza della Scuola d’Arte
Drammatica “Paolo Grassi” di Milano. Progettato e diretto da uno dei
maggiori critici italiani del settore, Marinella Guatterini, sul modello
delle maggiori scuole europee, il Terzo Corso di Teatrodanza presenta uno
spettacolo che nasce dall’incontro con la “lezione” della coreografa
americana Trisha Brown.
Figura chiave del post modern americano, Trisha Brown ha stupito il mondo
portando la danza fuori dai teatri, in spazi pubblici e luoghi totalmente
inediti, sviluppando un linguaggio del movimento libero e fluido, in cui è
assimilato anche il gesto quotidiano. Negli anni settanta, in un clima di
accesi sperimentalismi e di esplosione creativa di tutte le arti, le sue
idee hanno rivoluzionato i presupposti stessi della danza: è il periodo
delle “coreografie aeree”, in cui la Brown sfida la legge di gravità e fa
camminare i danzatori lungo le facciate dei grattacieli (Man Walking Down
the Side of the Building 1970, Walking on the Wall 1971) o danzare sui tetti
di New York (Roof Piece 1973).
Line Up e parte degli “Early Works” della coreografa - Sticks, Scallops,
Clackers, Spanish Dance, Solo Olos, Corners e Figure 8, qui ricreati dal
Corso milanese - risalgono a questo fervido periodo, il 1976/’77, e sono un
saggio dell’ironia e della semplicità che contraddistinguono la coreografa
americana oltre che una pietra miliare del suo repertorio. Alla Brown basta
una fila di danzatrici per dispiegare le innumerevoli possibilità
combinatorie del movimento.
Per la creazione di Line Up, gli allievi della “Paolo Grassi” sono stati
parte integrante sia del processo creativo che del risultato finale. Le due
direttrici delle prove, Lisa Kraus ed Elena Demyanenko, in passato parte
della Compagnia di Trisha Brown, hanno insegnato agli studenti le sequenze
esatte delle coreografie originali, per poi guidarli attraverso un esteso
processo di improvvisazione comprendente lo stesso impianto di istruzioni
che la Brown dette ai danzatori della sua compagnia nel 1976. In Line Up,
Trisha Brown ha chiesto ai suoi ballerini di improvvisare sulle indicazioni
dell’allineamento e di memorizzarne il risultato, rendendo ripetibile la
coreografia.
Sadler's Wells
22 giugno ore 20.00
Teatro Malibran
SADLER’S WELLS LONDON & SYLVIE GUILLEM (Francia)
6000 Miles Away
Rearray
coreografia, luci, costumi William Forsythe
con Sylvie Guillem, Nicolas Le Riche/Massimo Murru
musica David Morrow
27’52”
coreografia, scene Jirí Kylián
con Aurélie Cayla, Kenta Kojiri
musica Dirk Haubrich
luci Kees Tjebbes
costumi Joke Visser
Bye
coreografia Mats Ek
con Sylvie Guillem
musica Ludwig van Beethoven (Sonata per pianoforte n.32, Op.111)
scene, costumi Katrin Brännström
luci Erik Berglund
video Elias Benxon
coproduzione Dansens Hus (Stoccolma)
Ballerina dalla perfezione tecnica unica, Sylvie Guillem ha saputo imporsi
come una delle più grandi del nostro tempo. La sua fama esplode negli anni
‘80, quando non solo Guillem rivoluziona l’estetica della ballerina classica
con un’altezza “fuori misura” e gambe lunghissime che avvita e slancia al
limite della disarticolazione, ma ne muta per sempre il cliché, affermando
la sua personalità artistica con decisione e indipendenza nelle scelte.
Osannata dal pubblico di ballettomani, la Guillem non è soltanto dotata di
potenza fisica e tecnica d’acciaio, ma ha anche il carisma della vera diva.
Formatasi alla scuola dell’Opéra di Parigi, dove entra a 12 anni, a 16 è già
nel corpo di ballo e a 19 è nominata étoile - la più giovane étoile della
storia dell’Opéra di Parigi - da Rudolf Nureyev per la sua interpretazione
de Il lago dei cigni. Una serie di importanti ruoli seguono questo
riconoscimento, a volte con lo stesso Nureyev come partner. Dall’Opéra di
Parigi al Royal Ballet e poi ancora all’Opéra, la Guillem costruisce un
repertorio vastissimo, che ha contribuito alla sua longevità artistica sulle
scene di tutto il mondo: dai più importanti titoli del repertorio classico -
Giselle, Don Chisciotte, Romeo e Giulietta, La Bella addormentata,
Cenerentola, Raymonda, La Bayadère, Agon, Apollon musagète – a pezzi
coreografati per lei dai maggiori artisti contemporanei, come William
Forsythe, Maurice Béjart, Karole Armitage, Mats Ek, cui si aggiungono
recentemente Russell Maliphant e Akram Khan.
Per la prima volta alla Biennale di Venezia, Sylvie Guillem porta l’ultimo
spettacolo 6000 Miles Away, composto da un trittico di pezzi che per lei
hanno creato i massimi coreografi: il pas de deux Rearray di William
Forsythe, su musiche di David Murrow, l’assolo Bye di Mats Ek, sulle note
dell’ultima Sonata di Beethoven e il duetto da 27’52’’ di Jirí Kylián,
quest’ultimo interpretato da Aurélie Cayla e Kenta Kojiri, sulle musiche di
Dirk Haubrich. Un appuntamento da non perdere.
Ultima Vez / Wim Vandekeybus
23 / 24 giugno ore 20.00
Teatro alle Tese - Arsenale
ULTIMA VEZ / WIM VANDEKEYBUS (Belgio)
booty Looting (prima assoluta)
regia, coreografia, scene Wim Vandekeybus
interpretazione e collaborazione alla coreografia Jerry Killick, Birgit
Walter, Elena Fokina, Dymitry
Szypura, Luke Jessop, Kip Johnson
assistenza artistica, drammaturgia Greet Van Poeck
musica originale eseguita dal vivo di Elko Blijweert
suono Antoine Delagoutte
luci Davy Deschepper, Francis Gahide, Wim Vandekeybus
costumi Isabelle Lhoas
fotografia dal vivo Danny Willems
produzione Ultima Vez
in coproduzione con La Biennale di Venezia, KVS (Bruxelles), Schauspiel Köln
Ultima Vez è sostenuta delle Autorità e della Comunità fiamminga
Danzatore, coreografo, regista, film maker, Wim Vandekeybus appartiene alla
fertilissima area fiamminga, da cui provengono tanti nomi della scena
contemporanea tra gli anni ottanta e novanta: Anne Teresa De Keersmaeker,
Jan Fabre, Frédéric Flamand, Ann De Mey, artisti che, malgrado le
differenze, fanno sfoggio di un acceso plurilinguismo.
Wim Vandekeybus, apparso sulle scene alla fine degli anni ottanta con What
the Body Does Not Remember, spettacolo dall’impatto travolgente, premiato
con un Bessie Award a New York, porta alle estreme conseguenze le premesse
di una formazione antiaccademica, modellando una danza talmente aggressiva e
adrenalinica da trasformare la scena in un campo di battaglia, dove i corpi,
dominati da dinamiche di attrazione-repulsione, sono scossi in un vortice di
corse, cadute, lanci, prese rapide, spinte. Un’estetica del conflitto che si
incarna in un’umanità ferina, mossa da impulsi istintuali. Spiegel, composto
per i vent’anni della sua compagnia - Ultima Vez, fondata nel 1986 - offre
un campionario del vocabolario di Vandekeybus, dove diventa sempre più
costante l’impiego di altri media, come video e cinema. Monckey Sandwich,
presentato nel 2010 al Koninklijke Vlaamse Schouwburg, il teatro reale
fiammingo di Bruxelles, è infatti costruito interamente attorno a un
filmato. Lo scorso anno Vandekeybus collabora con Cidi Larbi Cherkaoui, per
cui aveva già creato un assolo al Festival di Avignone del 2002, a una
performance che è una lezione di danza assieme, IT 3.0.
A Venezia e all’8. Festival Internazionale di Danza Contemporanea,
Vandekeybus ha riservato il debutto in prima mondiale di booty Looting, così
intitolato perché i sei performer coinvolti, cui si aggiungono un musicista
e un fotografo, “si rubano l’un l’altro ciò che è già stato rubato”. La
sequenza di fermo-immagine che compone il pezzo è così descritta dalle prime
note informative della compagnia: “Un mago ha inventato uno specchio dotato
di memoria. Guardo dentro e mi ricordo la mia stessa nascita. Il vestito di
mia madre. La stanza dell’ospedale. … Del ghiaccio sulla barba. Fiamme tra
gli alberi. Due ubriachi che si tengono in piedi appoggiandosi l’un l’altro.
Una bambola sporca distesa per strada. Una Mercedes-Benz nuova di zecca, mai
guidata. Una bottiglia di vodka passata sul fuoco. … Una foto uccide il
presente e congela il passato. I ricordi si radicano in questi momenti
congelati e crescono… I corpi si muovono e il sudore gronda mentre
all’interno della cornice nulla cambia”.
Marathon of the Unexpected
24 giugno ore 15.00 > 20.00
Teatro Piccolo Arsenale
MARATHON OF THE UNEXPECTED
Dopo il successo della passata edizione, che aveva portato sul palcoscenico
del Teatro Piccolo Arsenale 21 compagnie da Italia, Olanda, Giappone,
Slovenia, Stati Uniti, Taiwan, ritorna Marathon of the Unexpected, una
sezione specifica all’interno del Festival destinata alle nuove proposte,
scelte fra le esperienze più sperimentali nel campo della danza, con l’idea
di portare allo scoperto realtà che difficilmente troverebbero visibilità e
di promuovere occasioni per scoprire e favorire l’originalità creativa di
nuove talenti.
Nella giornata conclusiva del Festival, il 24 giugno, dalle 15.00 alle
20.00, si svolgerà una non stop di brevi performance, tutte novità di non
più di 15 minuti ognuna, scelte tra le proposte che arriveranno entro il 15
maggio all’indirizzo marathon@labiennale.org .
A questo scopo è già stato annunciato un bando attivo sul sito della
Biennale di Venezia (www.labiennale.org). Rivolto a quei danzatori e
coreografi che hanno avuto esperienza professionale coreografica e di
spettacolo, la selezione, ad opera del direttore del Settore Danza Ismael
Ivo, privilegerà proposte inedite e innovative. Ai prescelti la Biennale
offrirà il palcoscenico del Teatro Piccolo Arsenale, dove saranno a
disposizione le condizioni tecniche di base per ogni allestimento.
Awakenings Dance Party
24 giugno ore 22.30
AWAKENINGS DANCE PARTY
Il Festival si concluderà con un momento di festa condivisa, per celebrare
la danza come una fondamentale espressione della gioia di vivere. Ismael Ivo
invita il pubblico del Festival a celebrare la bellezza della danza in una
serata costruita sull’incrocio delle arti, complici alcuni allievi
dell’Arsenale della Danza, e all’insegna del divertimento.
Laboratori e Masterclass
Joy of Movement
8 > 24 giugno, Tese dei Soppalchi e Salone SS. Filippo e Giacomo, Museo
Diocesano di Venezia
Choreographic Collision 6
Corpo a corpo
percorso di formazione coreografica a cura di Danzavenezia
direzione artistica Ismael Ivo
con la partecipazione di Shobana Jeyasingh
9 / 10 giugno ore 11.00 - 15.00, Tese dei Soppalchi
Virgilio Sieni
per danzatori professionisti e non professionisti, con selezione
13 giugno ore 10.00 - 14.00, Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian
Cristiana Morganti
Me, Myself and I
laboratorio di teatrodanza per danzatori professionisti, con selezione
15 / 16 giugno ore 10.00 - 13.00, Tese dei Soppalchi
Rosa Barreto e Gilberto Baía / Balé do Teatro Castro Alves
Danza afro-brasiliana
aperto a tutti
17 / 18 giugno ore 14.00 - 18.00, Tese dei Soppalchi
Erna Ómarsdóttir
per danzatori professionisti e non professionisti, con selezione
17 / 18 giugno ore 11.00 - 14.00, Tese dei Soppalchi
Wim Vandekeybus
per danzatori professionisti, con selezione
19 / 20 giugno ore 11.00 - 15.00, Artiglierie dell’Arsenale
Brock Labrenz / The Forsythe Company
Improvisational Movements
per danzatori professionisti, con selezione
21 / 22 giugno ore 10.00 - 14.00, Tese dei Soppalchi
Koffi Kôkô
aperto a tutti
Joy of Movement è un modo per conoscere sul campo le idee e le tendenze
della danza contemporanea, per avviare una riflessione sulla coreografia e
sulle sue fonti d’ispirazione, per entrare in contatto con le culture del
mondo attraverso i laboratori e le masterclass in programma.
Naturale sviluppo di un percorso di perfezionamento sulla coreografia
iniziato sei anni fa per iniziativa di Viviana Palucci e Manola Bettio
dell’Associazione Danzavenezia e con la direzione artistica di Ismael Ivo,
Choreographic Collision rinnova l’approccio multidisciplinare alla
formazione sperimentato nell’ultima edizione del Festival. I coreografi
selezionati, infatti, saranno allievi di un corso intensivo con la
coreografa anglo-indiana Shobana Jeyasingh e Ismael Ivo, ma si uniranno
anche a un altro gruppo di studenti - scelti dalle Università di tutta
Italia e di Ca’ Foscari e coordinati da Stefano Tomassini - per partecipare
insieme agli incontri, alle conferenze, alle prove generali, agli spettacoli
del Festival. Un “corpo a corpo” con la danza e il pensiero coreografico che
si concluderà con due Open Doors in cui gli allievi si misureranno con la
propria creatività elaborando una serie di “studi coreografici” presentati
nella giornata conclusiva del Festival.
Destinati a professionisti del settore, ma anche a un pubblico di
appassionati che vogliano approfondire le loro conoscenze nella danza
contemporanea, sono in programmazione cicli di masterclass con i
protagonisti del Festival, occasione unica per entrare in contatto diretto
con gli strumenti e i processi creativi di maestri di oggi: Virgilio Sieni,
Cristiana Morganti del Tanztheater Wuppertal, Rosa Barreto e Gilberto Baía
del Balé Teatro Castro Alves, Erna Ómarsdóttir, Wim Vandekeybus, Brock
Labrenz della Forsythe Company e Koffi Kôkô.
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