biennale architettura 2012 common ground
13. mostra internazionale di architettura 29 agosto > 25 novembre 2012
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Kazuyo Sejima: |
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BIENNALE ARCHITETTURA 2010 12. EDIZIONE 29 agosto/21 novembre 2010 Giardini, Arsenale, Centro Storico
09: In a Gadda Da Vida. L’esposizione ai Giardini, variegata e discontinua, soffre un po’ della libertà concessa ai singoli curatori nazionali e dell’impostazione della stessa Sejima per il Padiglione Internazionale, dove i lavori degli Studi invitati si connota per un quid di autoreferenzialità che non avevamo riscontrato nella splendida sequenza di proposte dell’Arsenale (il Padiglione Italia, vedi nota finale in questo articolo, costituisce anche quest’anno un’eccezione problematica e irrisolta). è quindi naturale che, In the Garden of Eden, possano conquistarsi un posto di rilievo e menzioni speciali (virtuali) da parte dei critici solo alcuni specifici progetti, con Francia (vedi anche l’articolo di Gabriele Francioni, N.d.R.) e Olanda su tutti e un buon esito finale anche per il Regno Unito.
10: Pluralities/ Padiglione Internazionale. Evitando un racconto sequenziale delle sale del Padiglione Internazionale, diamo la precedenza alla scelta giapponese, fortemente voluta, come si può ben immaginare, dalla direttrice, che è riuscita - con grande sagacia - a promuovere al meglio (e al massimo delle sue potenzialità) l’intera produzione del suo Paese, relativa al presente e al passato. Ecco allora Atelier Bow Wow, che presenta un’antologia di progetti abitativi, intitolata 'House Behaviorology”. Dall’inizio della loro attività nel 1992, lo studio ha dimostrato interesse per gli elementi e il comportamento dei micro / macroclimi nel nostro ambiente di vita, formato da persone ed edifici in continua interazione, quasi organismo complesso che respira sincronicamente e vive simbioticamente. Seguendo stili fedeli alla tradizione locale, ma aperti all’interazione con la necessaria invasività dell’intelligenza tecnologica, A.B.B. presentano una importante sequenza di plastici (alcuni spaccati) che attirano una gran moltitudine di spettatori, affascinati, per una volta, dal metalettismo quasi tautologico delle maquettes.Interessante, certo, ma decisamente lontano dalle meravigliose premesse delle Corderie.
Abbiamo, poi, “Casa Fray Foam”, una nube di materia colorata sconcertante e affascinante al tempo stesso, opera dello studio Andrs Jaque Arquitectos, in qualche modo astratta dal contenuto di una normale abitazione. Ci imbattiamo quindi nella visualizzazione semplice - fotografie, immagini - della grande architetta italobrasiliana Lina Bo Bardi, attiva nel dopoguerra e la cui leggerezza del tocco prefigura non a caso l’opera di Sejima..
Sachs affianca l’idealismo modernista della V.Savoye e il modernismo commercializzato di McDonald’s con l’intento di scrivere il de profundis di un’epoca arrivata da tempo al capolinea. In assoluto, però, produce l’opera più anomala e decontestualizzata dell’intero Padiglione Internazionale.
11: Singolarities/ Padiglioni Nazionali.
GRAN BRETAGNA La Gran Bretagna, con "Villa Frankenstein, produce il luogo che più risponde allo spirito e alle premesse di Sejima.
Curato da
Vicky Richardson
del British Council,
si tratta di un’affascinante
intersezione tra Gran Bretagna e
Venezia, messa in atto mostrando
scritti, disegni e notebooks nientemeno che
di John Ruskin,
tornati a Venezia per la prima volta dai tempi della loro
esecuzione/scrittura. e quelli elaborati da istituzioni come
Venice in Peril.
DANIMARCA. Curiosando randomly, chi vuole scoprire quale sarà il futuro skyline di Copenhagen , può gustarsi il padiglione della Danimarca, che mette in mostra una schiera di archistar per il progetto “Urban Questions”, da Zaha Hadid a Rem Koolhaas, sino a Daniel Libeskind. Questa è a tutti i livelli una vera e propria concessione al vecchio modo di curare la Biennale Architettura e, in qunto tale, passa assolutamente inosservata.
HONG KONG Siamo, qui, fuori dai territori e dalle linee guida della direttrice e non lontani dall’approccio curatoriale danese: sembra quasi che –in mancanza di supervisione finalizzata a mettere in sintonia padiglioni nazionali e padiglione internazionale- ci si desideri allontanare a tutti i costi da quelle premesse. Osserviamo infatti una visualizzazione del quartiere di West Kowloon, corredato da un piano che prevede la costruzione di 15 nuovi grandi edifici dopo un concorso ad inviti. Tre architetti sono in competizione per la commissione e, detto chiaramente, presentare le loro idee in video di straordinaria banalità, risulta un piccolo fallimento per la partecipazione hongkonghese. Norman Foster promette strade che siano "familiari e diverse", salvo poi permetterci la visualizzazione dii spazi che assomigliano a un genere molto vicino all’estetica a bassissimo profilo dei centri commerciali. Anche Rem Koolhaas si segnala per una proposta deludente, ma solo perché in linea con gli intenti del concorso, che merita comunque di vincere. è abbastanza deplorevole la scelta di alcune partecipazioni nazionali –al solito molto ricche- di evitare il confronto con architetti e realtà locali, sfoggiando invece la propria potenza economica e d’immagine ricorrendo all’esibizione gratuita di concorsi internazionali in cui mettere in bella mostra non solo star di alto profilo (Koolhaas), ma anche nomi appartenenti a un deplorevole passato di gratuito tecnologismo spinto (Foster).
OLANDA L’installazione “VACANT NL” invita il governo olandese ad utilizzare l’enorme potenziale degli edifici temporaneamente non occupati realizzati nei secoli XVII, XVIII, XIX, XX e XXI, sfruttando il potenziale d’innovazione dell’economia della conoscenza creativa che caratterizza il nostro tempo. L’Olanda meriterebbe una menzione specialissima per aver messo in campo l’Assenza, l’Empty di Sejima e Perrault, il problema degli alloggi sfitti, veri e propri fantasmi del problema edilizio e dell’architettura popolare. Pochi pensano che una grande quantità di edifici sia rimasta vuota nei Paesi Bassi, mentre, causa la peculiarità di quelle terre, le si immagina densamente popolate e occupate. è invece sorprendente per tutti noi venire a conoscenza del vuoto abitativo dei Paesi Bassi e della continua crescita dello stesso, giorno dopo giorno. Milioni di metri quadrati ai quali nessuno pone attenzione Lo studio Rietveld Landscape (Ronald Rietveld e Erik Rietveld), è stato invitato dall’Istituto Netherlands Architecture (NAI) a realizzare un manifesto in forma di installazione sul potenziale di architettura del paesaggio per contribuire alla risoluzione delle grandi sfide della società odierna e i curatori hanno messo insieme un team multidisciplinare per la progettazione dell’installazione. Come si può investire in innovazione in un momento caratterizzato da risorse limitate? La grande varietà del patrimonio abitativo empty, offre ogni tipo di possibilità per il riuso e l’elaborazione di esperimenti realmente innovativi. Questa Biennale prova a minimizzare l’importanza dell’espressione architettonica per dare maggiore risalto alla capacità dell’architettura di costruire luoghi per la gente. Il contributo olandese a questa Biennale, mostra un patrimonio edilizio dimenticato, pronto a tornare in circolazione, come metri cubi abitativi, che come palestra per nuove idee.
PADIGLIONE FRANCESE (Vedasi articolo di Valérie Théodore).
12: Ahi,Lati… Italia. Utopie, senso civico, case che non costano più di mille euro al metro quadro, addirittura trasformazioni di proprietà mafiose in luoghi pubblici: il Padiglione Italia, curato quest’anno dal critico Luca Molinari, sembra aver raccolto, almeno a livello d’intenti, la sfida di Sejima, ma l’approccio teorico sembra lasciare ai blocchi di partenza un’idea ammirevole, ma francamente lontana dagli orizzonti emergenziali della nostra infinita crisi nazionale. La grande goccia di plastica trasparente che viene utilizzata per conferenze e incontri, suona vagamente incoerente, o altamente simbolica, rispetto alla realtà, ad esempio, del terremoto aquilano. Ailati. Riflessi dal futuro, quindi, passa dal bilancio degli ultimi vent'anni di architettura italiana sino a un presente ancora tutto da verificare. Molinari, giocando con il nome “Italia”, ha solo risposto allo stimolo iniziale della direttrice (lo testimoniano le interviste rilasciate), ma i mezzi a disposizione anche a livello curatoriale si riflettono in un prodotto finale abbastanza velleitario, per quanto ammirevole. |
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