biennale architettura 2012

common ground

 

13. mostra internazionale di architettura

29 agosto > 25 novembre 2012

 

di Gabriele FRANCIONI

BIENNALE ARCHITETTURA 2010

12. EDIZIONE

29 agosto/21 novembre 2010

Giardini, Arsenale, Centro Storico

 


01: Biennale metonimica

Quella di Architettura è lunica Biennale che, spostando la fisicità dei materiali costruttivi nei territori meno tangibili della retorica, può essere definita metonimica e metalettica.
Metalettica quando l’edificio o complesso di edifici cui si allude - invece di singole parole/termini o frasi - è sostituito dal suo traslato immediato (il plastico, il modellino, la maquette) e metonimica quando vengono evocati atmosfere e contenuti relativi a un traslato non immediato, quindi il progetto, senza cioè mettere in campo direttamente l’idea, ma, appunto, presentandone degli addentellati: un video di computer graphic, una collezione d’interviste, la (ri)proposizione in situ della sensorialità di un dato edificio, etc.
L’architettura e gli edifici, per essere chiari, non li puoi trasportare ai Giardini o alle Corderie, il ché rende queste esposizioni settorial-tematiche di per sè ambigue sia sotto il profilo del Cosa si mostra e del Chi lo va a vedere, quindi ontologicamente instabili e di classificazione quasi impossibile.

 

 

02: Il pubblico di Biennale Architettura

Mentre per le arti performative si può dare infatti un pubblico di semplici appassionati o di più consapevoli esperti/critici, se non di praticanti (danza, musica, teatro), che assistono a una messa in scena, e per le arti visive e il cinema valgono più o meno gli stessi parametri, salvo che di semplice presentazione si tratta, il pubblico della Biennale Architettura è potenzialmente quello di tutti gli abitanti del pianeta, cioè di tutti coloro che hanno un rapporto quotidiano col vivere dentro scatole tettonicamente concepite.

è arduo imbattersi nell’uomo della strada che segua accanitamente l’attività di un Souto De Moura, piuttosto che di uno Zumthor, così, come passatempo.  Difficile, per quanto già vagamente meno improbabile, trovare chi possa discettare con cognizione di causa di Zaha Hadid - non basta esser stati al Maxxi, però… - Jean Nouvel, Rem Koolhaas, Herzog & De Meuron, David Chipperfield o Dominique Perrault.
Già più scontato, invece, trovarsi in compagnia di normali cittadini capaci d’infiammarsi alla semplice evocazione di Renzo Piano e Gae Aulenti (amor patrio ?), salvo poi rendersi conto che le conoscenze di costoro si limitano ai canonici Beaubourg e ristrutturazione di Palazzo Grassi (quella agnelliana).

 

 

Come si può pretendere, d’altronde, che chiunque ami l’architettura? Un conto è la dirimpettaia che sfoglia riviste di interior design al solo scopo di selezionare stocasticamente il prossimo oggetto d’arredo grazie al quale rendere visivamente sopportabile la propria quotidianità domestica, un conto è il vero appassionato d’arte, che divora pubblicazioni patinate per essere in grado di distinguere Kiefer da Koons o Turrell da Tiravanija, ma che è giustificatissimo nel suo coltivare un rispettoso amore a distanza verso l’oggetto o la serie di oggetti che desidererebbe essere in grado di produrre o semplicemente acquistare (in questo caso esiste sempre l’opzione collezionista).

Passi l’amico che sa dell’esistenza di Hirst - e che diamine! - ma non quello che ti tenga un’ora a ragionare sul velodromo di Perrault a Berlino.

Tolti i futuri architetti e gli attuali studenti di architettura - la distinzione è assai necessaria - i visitatori della Biennale Architettura si distinguono quindi per la loro amabile, entusiasmante ed entusiasta, oltre che ingenua, genericità.

A metà edizione 2010, i numeri riguardanti l’affluenza sembrano benedire tale genericità confluente verso gli spazi espositivi di Castello e le gallerie/Fondazioni/istituti del centro storico.

 

 

03: Una corretta metodologia espositiva

Stabilita la natura ambigua e la sostanziale indefinibilità ontologica di un’“esposizione di architettura”, verifichiamo a posteriori come in passato si siano alternate, piuttosto confusamente, biennali piene di plastici che parlavano solo agli studenti e ai professionisti (metalettismo), qualche volta giustificate dalla deriva urbanistica imposta dal direttore/curatore di turno - troppo spesso storici o critici e non architetti - altre volte influenzate dalla potenza iconica delle Archi-star invitate, che richiedevano una tridimensionalizzazione sensorialmente invasiva e sostanzialmente muta dei loro lavori.

Ciò che apprezziamo della 12° Biennale è la scelta di assumere e far proprie le architetture dell’Arsenale e dei Giardini non come semplici contenitori di maquettes, ma come serie di doppi degli edifici di cui si tratta, la cui atmosfera viene presa e portata a Venezia, quindi ricreata come installazione dentro le Corderie, le Artiglierie e i vari Padiglioni nazionali.

Tale approccio metonimico, sia chiaro, si distanzia radicalmente anche dalle meno riuscite Biennali del passato, ovvero quelle che uscivano dal campo fisico, tettonico dell’edificio, per rinchiudersi in una serie di vuoti esercizi teorizzanti, spesso contrappuntati da spazi-manifesto e dichiarazioni d’intento rigorosamente e solo scritte.

La Biennale Metonimica di Sejima decide di riprodurre il vuoto atmosferico dei progetti -realizzati o da realizzare- tra le mura degli edifici presenti qui e ora, unica architettura concreta effettivamente attraversabile e fruibile all’istante.
Dalle rampe immerse nella nebbia ai lampi nel buio sino alle video-installazioni, tutto è correttamente esposto con delicatezza dialogante distante anni luce dalla violenta forza impositiva delle Archistar.

10 ottobre 2010

SITO UFFICIALE

 

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