A TORTO O A RAGIONE
di Istvan Szabò
con Harvey Keitel e Stellan Skarsgard



TAKING SIDES è la storia di un interrogatorio feroce a cui è stato sottoposto il direttore d'orchestra Wilhelm Furtwangler (Stellan Skarsgard) da parte del maggiore americano Steve Arnold (Harvey Keitel), alla fine della seconda guerra mondiale. Gli americani hanno vinto e ora vogliono punire tutti coloro che hanno contribuito a creare l'orrore del Nazismo. Tra questi anche Furtwangler che dirigeva a quell'epoca la Filarmonica di Berlino ed intratteneva stretti rapporti con i capi delle SS, nonché con lo stesso Hitler. Grazie a queste relazioni il direttore aveva ottenuti grandi privilegi, sia professionali che personali, ma nello stesso tempo aveva anche salvato molti musicisti ebrei da una morte sicura, scritturandoli nella sua orchestra. Allora è davvero così colpevole degli orrori del Nazismo? Ad un certo punto Furtwangler dice: "Io amo la musica ed amo il mio Paese: che cosa dovevo fare?" Quanto realmente sapeva di ciò che stava succedendo al popolo ebreo, e, soprattutto, tutti coloro che a quell'epoca non sono stati degli eroi, sono per forza da considerare dei carnefici?
Questi e molti altri interrogativi pone e lascia irrisolti il regista ungherese Istvan Szabo', accompagnando una storia densa e basata su serrati dialoghi con una regia importante e ben costruita, che sa dosare l'intervento a seconda della necessità di sceneggiatura e che dà largo spazio agli attori. Non mancano delle scivolate retoriche che però vengono subito contrastate dai continui capovolgimenti di verità, che mettono in discussione qualsiasi punto di vista. Harvey Keitel, nella parte del maggiore americano che vuole far scontare ad un uomo i delitti di un popolo, di una Nazione e forse addirittura di un'epoca, è assolutamente eccezionale.

Voto: 28/30

Francesca MANFRONI
16 - 02 - 02

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Dove sta il torto, dove la ragione, nella Berlino bombardata del 1945, durante una inchiesta militare che vuol fare luce sui presunti collaboratori del regime nazista. Szabò non si sbilancia, preferisce che sia lo spettatore a farsi un opinione. Si limita a presentare, a suggerire, in quello che è un film intenso ed emozionante, interpretato da due attori di ottimo livello - ma che ad essere pignoli ha l'unico difetto di risentire troppo dell'impostazione teatrale della piece da cui è tratto. Chi ha ragione, chi ha torto. Ha ragione il maggiore americano, del Comitato Americano di Denazistizazione, Steve Arnold (Harvey Keitel) che deve a tutti i costi dimostrare che il direttore d'orchestra Wilhelm Furtwängler (Stellan Skarsgård) sia stato comunque simpatizzante dei nazisti - se non nazista lui stesso, pur non essendosi mai iscritto al partito - per il solo fatto di aver suonato per il Fuhrer e di non aver abbandonato mai la Germania, o ha ragione Furtwängler, che in nome di un ideale, quello dell'Arte, pensava di poter a suo modo cambiare lo stato delle cose, anche suonando per Hitler? Dove sta la ragione, nel soldato americano che viene indottrinato (veri i documentari dell'epoca) a pensare che tutti i tedeschi sono stati nazisti e a non fraternizzare con loro, oppure nell'artista tedesco, che non si è mai interessato di politica, ingenuo genio, ed è stato manovrato dai vari gerarchi in cerca di approvazione presso il Fuhrer. " Io non li conosco," dice Furtwängler, "ma loro conoscono me". "Nessuno sapeva cosa stava succedendo," - dice in un altro passaggio. "Nessuno sapeva, ma allora perché i tedeschi salvavano gli ebrei?" - (si) domanda allora Arnold. E in una delle scene più drammatiche (escludendo degli inserti originali, attimi tremendi che ci lasciano senza forza) la segretaria del maggiore lo accusa di condurre l'interrogatorio di Furtwängler come facevano gli ufficiali della Gestapo. La domanda di fondo (se l'Arte è superiore alla Politica, oppure se l'Arte è Politica) trova risposta non nel film, ma dentro ciascuno di noi. Se Furtwängler fece un errore, fu quello di non essersi reso conto di essere diventato uno dei più ragguardevoli rappresentanti della cultura nazista. Probabilmente non si interessava di politica - Szabò, che comunque si è documentato, propende per questa ipotesi - ma in quel momento storico era fondamentale interessarsi. Certo, Furtwängler salvò degli ebrei, ma non prese mai una posizione netta nei confronti del regime nazista (il titolo originale è TAKING SIDES, ossia prendere posizione). Il Maggiore riuscirà ad incastrare l'Artista, ma il tribunale post bellico non lo condannerà. In coda al film, a postilla, ci viene presentato il vero Wilhelm, proprio in quel episodio che nel corso del film viene contestato più volte al suo alter-ego cinematografico. Nella realtà del vecchio bianco e nero, il vero Furtwängler dà la mano al Fuhrer e subito dopo, con un gesto naturalissimo, si passa il fazzoletto dalla mano sinistra alla mano destra. Rivediamo la stessa breve scena più volte, e sempre più vicina, al rallentatore. Si passa il fazzoletto dalla mano sinistra alla mano destra, si passa il fazzoletto e senza farsi notare si pulisce la mano. E' solo in quel momento, a film praticamente già concluso, che possiamo (e forse dobbiamo) prendere posizione.

Voto: 28/30


Matteo FERUGLIO
29 - 03 - 02