Un uomo viene improvvisamente rapito e confinato in una stanza d’albergo
senza alcuna apparente motivo.
Dopo 15 anni viene rilasciato, con a disposizione abiti costosi, un
telefonino e una forte somma di denaro, ma senza alcuna spiegazione.
La fame di vendetta si trasformerà presto in ricerca della verità: chi
ha rapito Oh Dae-su? Per quale motivo? E soprattutto da chi è stato
liberato?
Ulteriori passaggi della trama sarebbero dannosi (e vani, trattandosi
questo di uno di quei film che vanno per così dire “vissuti”) per chi
non ha ancora avuto la fortuna di vedere questa ennesima gemma
proveniente dalla Corea e già vincitrice di diversi premi in tutto il
mondo, incluso il prestigioso Grand Prix a Cannes nel 2004.
Chan-wook Park, dopo l’apprezzabile
Joint Security Area e
soprattutto il tragico Sympathy
for Mister Vengeance (che condivide con la pellicola in questione
il tema della vendetta), si guadagna i favori della critica e si
conquista un piccolo spazio nel cuore degli appassionati del cinema
orientale grazie a questo adattamento del manga di Garon Tsuchiya dallo
stesso nome (e purtroppo ancora sconosciuto qui in Italia).
Oldboy è una pellicola di
indiscutibile classe, un film potente, ambiguo e molto spesso anche
inquietante per i temi trattati. La regia sperimentale con molti
virtuosismi tecnici (non sempre al servizio della storia a dire la
verità) e la fotografia scura di Jeong-hun Jeong, unita ad un montaggio
frenetico che combina split-screen, dissolvenze e primi piani alternati
(nonchè una delle migliori colonne sonore degli ultimi anni)
contribuiscono a creare un mondo bizzarro che entra nella testa dello
spettatore per rimanerci a lungo, anche dopo la visione del film.
Lo stile ricorda per certi versi quello del
Fight Club di Fincher, ma
con un uso meno esasperato di CGI e con un look, se possibile, ancora
più “sporco”,che sottolinea la violenza e le situazioni shockanti della
vicenda in maniera impeccabile.
Il grigio e il verde dei corridoi bui contrastano con il rosso delle
scene nell’albergo, mentre colori più chiari spiccano nel finale aperto
all’interpretazione dello spettatore. Menzione d’onore anche per la
magnifica colonna sonora composta da Yeong-wook Jo, un misto di Techno e
orchestra che arriva anche a scomodare qualche traccia delle quattro
stagioni di Vivaldi.
La recitazione si regge tutta sull’interpretazione di Min-sik Choi (Oh
Daesu), che per fortuna non delude in quella che sicuramente non è stata
una prova facile, visto il campionario di emozioni che il protagonista
ha dovuto esprimere nelle varie sezioni della storia.
La pellicola, nonostante i tantissimi punti
a favore, ha comunque i suoi numerosi difetti.
Il ritmo cala vistosamente all’inizio della seconda metà della vicenda,
e comunque lo sviluppo non è dei più rapidi (cosa che potrebbe
infastidire gli adepti della MTV Generation, o anche i fan di Michael
Bay). Inoltre è parecchio difficile per lo spettatore immedesimarsi
nello spirito dei personaggi, e gli aspetti dark e la complessità della
storia non sono adatti a tutti i palati. Resta il fatto che comunque è
un piacere trovare, particolarmente in un periodo cinematografico fiacco
come questo, un film coraggioso e ben confezionato come questo.
Purtroppo pare sia già in fase di pre-produzione un remake Hollywoodiano
prodotto dalla Universal.
Da parte mia non posso che consigliarvi di andare a cercare l’originale
adesso, prima che l’industria americana ci proponga la loro ennesima
versione edulcorata (e quasi sicuramente inferiore) di un film che è già
quasi perfetto nella sua forma originaria.
Voto: 27/30
09:01:2005 |