Sam Peckinpah

Il ritmo della violenza
R
Cineteca di Bologna

Cinema Lumière, 4/10 Ottobre 2006
 

di Federico PAGELLO


Organizzata da Umberto Berlenghini e Michelangelo D’alto in collaborazione con la Cineteca di Bologna, la rassegna avrà nei mesi di Ottobre, Novembre e Dicembre una replica quasi integrale al Museo Nazionale del Cinema di Torino e repliche parziali nelle sale del circuito ‘Fronte del pubblico’, a Parma, Modena, Reggio Emilia, Ferrara, Cesena e Ravenna.

L’uomo, lo stile, il cinema

L’uomo, perché Peckinpah ha messo nei suoi film qualcosa di più di semplici storie e immagini; ha rivelato se stesso, la propria vita e la propria personalità. indissolubilmente intrecciate alla Natura, al Mito e alla Storia del suo Paese. Lo stile, perché Peckinpah è un autore capace di piegare tecnica e linguaggio ad una scrittura personale assolutamente inimitabile (ben al di là delle infinite imitazioni). Il cinema, perché nei film di Peckinpah il western, la violenza, la New Hollywood – giusto per rimanere ai cliché – sono talmente vividi e potenti da mostrare come e perché il cinema rappresenti la resistenza contro l’abbruttimento sociale e culturale dell’America contemporanea, quella dell’era televisiva.

Mi piace bere, mangiare, mi piacciono i vestiti comodi e le belle donne. Ma se mi lascio fregare da questa società consumista, poi finisce che non riesco più a fare i film che voglio fare. Sono un nomade, uno che vive con la valigia in mano e la mia casa è lì dove sto girando un film. Sam Peckinpah (intervista a Playboy, agosto 1972)

 

La rassegna "Sam Peckinpah. Il Ritmo della Violenza", per chi ha avuto la fortuna di seguirla interamente, è stata qualcosa di più di una semplice retrospettiva cinematografica. È stata un’esperienza, estetica, culturale, umana. Un insieme di persone (appassionati, collezionisti, film maker, collaboratori del regista, critici, studenti di cinema) si sono immersi per una settimana – mattina, pomeriggio e sera – nelle opere dell’autore, nei documentari su di lui, nei discorsi che costituiscono la memoria dell’arte e della personalità di questo gigante del cinema. La quasi totalità della produzione peckinpachiana e ogni dettaglio conosciuto della sua vita sono stati visti e ascoltati dallo schermo e dalla voce di coloro che sono rimasti segnati dalla potenza dei suoi film.

 


Il primo e misconosciuto, prima di tutto perché invisibile, La morte cavalca a Rio Bravo (Deadly Companion, 1961) è stato proiettato in DVD perché la pellicola originale risulta apparentemente introvabile. Si tratta di un film decisamente minore e inaugura la lotta infinita fra Peckinpah e i produttori: tratto da un romanzo odiato dal nostro (come accadrà di nuovo con il celebre e maledetto Cane di paglia), il film fu l’oggetto degli scontri fra il regista e la produzione, che gli impose di rispettare il libro. Il risultato è decisamente deludente, anche se si intravedono elementi propri dello stile e della poetica di Peckinpah.

 

 

La dimostrazione che la colpa della malriuscita del primo esperimento non era sua, l’abbiamo potuta osservare grazie alla magnifica copia restaurata di Sfida nell’Alta Sierra (Ride the High Country, 1962), girato solo pochi mesi dopo l’opera d’esordio. Capolavoro del cosiddetto western crepuscolare, di cui rappresenta uno dei primi esempi, quest’opera merita di essere vista e rivista nella versione originale in pellicola, con i suoi colori technicolor che restituiscono le montagne della California, amatissime dal regista. Anche il terzo lavoro, Sierra Charriba (Major Dundee, 1965) è stato presentato a Bologna in una copia recentemente restaurata che cerca di riportare l’opera il più vicino alla concezione dell’autore: la vicenda produttiva del film è segnata forsa dalla più grave rottura fra Peckinpah e la produzione dei suoi film, un dissidio che costerà al regista un esilio dal set durato fino alle riprese del suo capolavoro assoluto, Il mucchio selvaggio (The Wild Bunch, 1969).

 

 

Sierra Charriba, visto durante la rassegna in una versione di 134’, si dimostra essere un’opera unica, che rivela, anche nelle lacune dovute all’ingerenza dei produttori, lo stile e le tematiche più personali dell’autore; basti citare la scena del massacro finale, in cui i discutibili eroi vengono decimati dalle truppe francesi, inequivocabile premonizione della chiusura epocale del film del ’69. Le opere successive, da La ballata di Cable Hogue (1970) a Voglio la testa di Garcia (1974), da Getaway (1972) a La croce di ferro (1977), da Cane di paglia (1971) a Pat Garret e Billy the Kid (1973) – proiettato a Bologna nella versione director’s cut, sono ormai dei classici, pietre miliari del cinema americano “modernista” degli anni Settanta in cui Peckinpah declina con diverse intonazioni la sua organica e personalissima visione del mondo.

Forse meno conosciuti, ma non per questo meno entusiasmanti, anzi, L’ultimo buscadero (1972), Killer Elite (1975), Convoy (1978) e OsteRman Weekend (1983) sono splendidi esempi dell’irriducibile alterità del regista rispetto al mondo contemporaneo: la delicata elegia della star del rodeo interpretato da Steve McQueen nel film del ’72 e la paranoica durezza di quello dell’83 dimostrano come dietro la violenza superficiale delle opere di Peckinpah si nascondessero la tenerezza e la nostalgia verso un mondo più onesto e umano.

 


Oltre alla retrospettiva completa dei quattordici lungometraggi diretti dal regista tra il 1961 e 1983, la rassegna ha proposto una quantità di materiali per lo più sconosciuti o sottovalutati dal pubblico e probabilmente anche dalla critica.
Innanzitutto, la vasta produzione televisiva (51 opere fra il 1956 e il 1968) è stata rappresentata da ben 31 titoli, sceneggiati, diretti o prodotti da un giovane Peckinpah in cerca del proprio spazio nel mondo del cinema. Si tratta di qualcosa di ben più interessante che semplici prove giovanili o lavori su commissione: nonostante l’impossibilità di esprimersi completamente e le frustrazioni imposte dalle rigide regole della comunicazione televisiva, tanto più nell’America degli anni Cinquanta, i telefilm scritti o diretti da Peckinpah mostrano in maniera illuminante la nascita e lo sviluppo, graduale ma non per questo meno stupefacente, dello stile e della poetica del regista. Peckinpah esordisce come sceneggiatore, dopo il lavoro di dialoghista per Don Siegel, con "Gunsmoke" (1955/1975), serie tratta da uno spettacolo radiofonico molto popolare, a sua volta uno dei più grandi successi del western televisivo; grazie a questa prima esperienza Peckinpah acquistò subito notorietà nell’ambiente e gli vennero affidate, oltre ad una notevole quantità di episodi per diversi serial, "The Rifleman" (1958/1963) e "The Westerner" (1960). Quest’ultima, composta di soli 13 episodi, fu interamente ideata e prodotta dal nostro; la sua visione del West può finalmente dispiegarsi interamente, anche se ancora attraverso i filtri del visibile televisivo, e ne risulta quella che secondo molti è stata la migliore serie western di tutti i tempi. Lo stile di regia di mostra una padronanza ormai eccellente nella gestione del tempo e dello spazio filmici; l’atmosfera che è decisamente inconsueta nella fiction televisiva; i temi prediletti di Peckinpah prendono forma uno ad uno: i veri effetti della violenza, un panorama di personaggi sbandati e fuori dalle regole, la corruzione delle istituzioni. Forse per questo, la serie fu cancellata prestissimo.


 

Due spot pubblicitari girati in Giappone con James Coburn e i due videoclip ("Valotte" e "Too Late for Goodbyes") realizzati per Julian Lennon nel 1984, pochi mesi prima della morte, pur non aggiugendo nulla alla sua parabola artistica, ci mostrano “in negativo” quale spreco siano stati i cinque anni di inattività forzata cui il degrado fisico e l’ostracismo da parte dei produttori hanno costretto Peckinpah tra il ‘78 e l’83.

Sette filmati “backstage” (d’epoca e non) hanno rivelato i retroscena della realizzazione di alcune fra le pellicole più conosciute. Fra questi spicca, per durata e approfondimento, "Alpha to Omega: Exposing The Osterman Weekend", di Jonathan Gaines, proveniente dall’edizione in DVD del film: i retroscena della realizzazione dell’ultimo film diventano un luogo privilegiato per osservare la fase finale e travagliata della vita del regista, ancora una volta espropriato della sua opera dai produttori che pure gli avevano offerto la propria disponibilità dopo anni di disinteresse da parte dell’industria.


La vicenda umana del regista è stata ampiamente ripercorsa attraverso i nove documentari proposti: dall’infanzia passata sulle montagne e nei boschi della California meridionale, là dove rimaneva ancora la memoria diretta del West, agli anni della decadenza, dovuta in primo luogo all’abuso di alcol e cocaina, ogni fase della vita del regista è stata raccontata senza sensazionalismi ma anche senza reticenze da coloro che hanno conosciuto l’autore o che hanno deciso di dedicare molto del loro tempo per collezionare le sue opere e i suoi cimeli, per scrivere un libro su di lui, per girare un film, magari nei luoghi dove sono stati nati i suoi capolavori. Quattro i lungometraggi presentati, tutti interessanti: Sam Peckinpah: Man of Iron (GB/1990) di Paul Joyce (90’), Sam’Peckinpah’s West: Legacy of a Hollywood’s Renegade (USA/2004) di Tom Thurman (90’), Passion & Poetry (Germania/2005) di Mike Siegel (115’), Sam Peckinpah: un ritratto (Francia-Italia/2006) di Umberto Berlenghini e Michelangelo Dalto (80’).


 

Alcuni dei materiali raccolti dai collezionisti Jeff Slater e Mike Siegel (locandine, foto di scena, una uniforme proveniente dal set di Sierra Charriba) sono stati raccolti e presentati in una mostra fotografica allestita nella sale della Cineteca di Bologna. Infine, a completare il quadro, sono stati proiettati Amore piombo e morte e Stridulum, due film di produzione italiana del 1978 nei quali il regista figura nelle vesti di attore in piccole apparizioni; il primo, uno spaghetti western del grande Monte Hellman, amico di Peckinpah, il secondo, un horror delirante di Giulio Paradisi con un cast all star che comprende anche John Huston e Glenn Ford.

 


In occasione della rassegna, è stato pubblicato dalla Cineteca in collaborazione con la casa editrice Le Mani il volume "Sam Peckinpah. Il Ritmo della Violenza", a cura di Franco La Polla, che contiene interessanti saggi di critici italiani e stranieri, come Flavio De Bernardinis, Emanuela Martini, Claver Salizzato, Claudio Bisoni, Stephen Prince, David Weddle, le testimonianze di Katherine Haber, collaboratrice di Peckinpah, e di Gianni Bozzacchi, produttore di Amore piombo e furore, ma soprattutto la splendida intervista concessa da Peckinpah a "Playboy" nel 1972, sul set de L’ultimo buscadero, in cui esprime con chiarezza, ironia e intelligenza uniche tutta la propria visione della vita, dell’America e del Cinema.