TEATRO FONDAMENTA NUOVE PRESENTA...
 

Movimenti Fall 2009

santasangre

sincronie di errori non prevedibili

ideazione | Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano, Dario Salvagnini, Pasquale Tricoci, Roberta Zanardo
elaborazione video | D.Arbib, L.Brinchi, P.Tricoci
partitura ed elaborazione del suono | Dario Salvagnini
corpo e voce | Roberta Zanardo
costume | Maria Carmela Milano

Venezia, Fondamenta Nuove, 19 novembre 2009
 

di Gabriele FRANCIONI

 

30/lode

 

Collegamenti:

- Teatro Fondamenta Nuove

- Santasangre

Santasangre riesce probabilmente a definire quel luogo-non-luogo nell’odierna pratica artistica dove si realizzano tutte le sintesi e, pur facendo a meno del “logos” - o forse proprio per questo - ci permette di assistere all’epifania di ciò che è oltre la multimedialità e che nasce a nuova vita passando attraverso una definizione che ancora non possediamo, non riusciamo a fonetizzare formalizzandola.
è come se le premesse rigenerative del loro theatron apokalyptikon, fine e catarsi riproduttiva, allo stesso tempo, di mondi, questo farli e disfarli, faccia permanere, sostando silenziosa in una terra di nessuno, la parola normativa e definitiva.

Come il Teatro del Lemming (non è un caso che Luca Brinchi venga (anche) da quell’esperienza)
sceglie di radunarsi attorno all’idea di comunità, di koinè contrapposta ai molteplici disfacimenti di ciò che qualcuno ancora chiama societas, Santasangre pone il suo sguardo su un universo scenico che riproduce tale agglomerato di umanità e cose in uno stadio ove il napalm dell’intelletto espressivo, preso atto dello status quo, ha coerentemente fatto strage di quella colla che creava rapporti e ha talvolta annullato le presenze attoriali dotate di una lengua intelligibile, restituendocele sotto forma di residualità gestuale/sonora/organica, pre-phonè.

Le premesse teoriche - uniche, originali - sono chiarissime: immaginiamo un universo rinnovato e un campo magnetico continuo che lo attraversa e incrocia corpi-muscoli-ossa, che nell’apocalissi e catarsi decidono di dimenticare residui fonetici e tecniche precostituite di ciò che andava sotto il nome di recitazione.
Il suono e la luce attraversano con fili immaginari, o lame affilate, la nervosa corporeità in cerca di un ritmo, di una nuova segmentata partitura di movimenti e cadute, scatti e lente volute gestuali.

Dall’acqua di SEIGRADI alla “scissione atomica” di SINCRONIE, SANTASANGRE procede con grande coerenza entro un territorio che chiede alla scienza di diventare regia di una meditazione sul degrado dell’universo-mondo, dove noi dobbiamo essere ancora…inventati. Oppure: ci siamo, ma siamo dei pre e dei post al tempo medesimo, ma allo stesso livello ”semantico” di suono e luce.

La peculiarità di SANTASANGRE, che ha suscitato alcune reazioni di pura naiveté tra il pubblico (ma dai, ragazzi, dov’eravate in questi anni? a vedervi Aroldo Tieri col bisnonno o a infliggervi compulsive stagioni teatrali ormai fuori dal tempo? sapete cos’è un ologramma? Roberta Zanardo vi è sembrata “cattiva” perché non guardava i paganti? vabbè, la prossima volta non scegliete come passare la serata tirando la monetina…), la loro specificità è la stessa di Teatro Fondamenta Nuove: theatron ha un’etimologia che comunque parte dal “vedere”, quindi la peculiarità sta nel ragionare, semmai, sulla matrice di quel senso, che solo dopo si estende e incrocia gli altri.
Teatro di parola? In che era geologica? E la Storia dell’arte del dopoguerra è trascorsa inutilmente?

Ecco il rischio di internet: l’azzeramento o l’appiattimento culturale, verso il basso, con tanto di molteplici revisionismi inclusi, di generazioni che se gli nomini Nekrosius, Lemming e Motus pensano semmai a una congrega metallara.

L’unicità di questo Luogo e di queste realtà culturali sta nel re-inventare un campo d’azione che è “X”, è forse arte visiva ma con molto altro intorno: non si va “a teatro” andando a T.F.N., non si va a teatro coi SANTASANGRE.
Si entra nella pancia del creato e si guarda a che punto stiamo. Qualcuno (i ragazzi dei seminari) osserva e sceglie una strada che poi sarà solo sua.

L’esclusiva inclusione della “narratività” entro un ambito organico, gestuale, che fa a meno della parola, non sposta Santasangre verso i territori del magnifico “EXIT_02” che ha chiuso Biennale Musica, ma, più semplicemente, apre il varco a una zona concettuale e pratico-performativa che è “nuova” perché incapace di sostenere l’ottusa chiusura e il peso di una definizione, univoca o aperta che sia.
è quell’area che cercavamo e che forse si è palesata di fronte ai nostri occhi con la perfezione di una complessa semplicità, tanto per andare ancora di ossimori.

Roberta Zanardo produce un’introduzione in cui ragiona sul suono primigenio, creando assi di visione muovendo le braccia che tendono il filo di un microfono fatto arrivare a terra, sino a sfiorare il palco, ed è come se tutto fosse al suo minimalistico esordio nel mondo.
Era partita da posizione china, al buio, raccolta vicino a un piccolo bagliore.

In due successivi segmenti, strutturati e articolati, dove non è affatto esclusa (anzi!) la definizione di momenti “improvvisativi”, il suo corpo ridotto al grado zero ma già mutante, capace di re-inventarsi in un’imbracatura cui è fuso, agisce una straordinaria serie di scatti/piegamenti/microconvulsioni inizialmente rivolti “verso” un cerchio di luce e le sue numerose variazioni di morphè dinamica, quindi orientati “lateralmente” verso invisibili fonti sonore.

Ovviamente non è così, perché - come si diceva in precedenza - suono e luce producono insieme un campo magnetico che va a costruire il balletto organico-meccanico del corpo primigenio di Zanardo, attraverso stimolazioni e linee-guida di cui non è dato intuire la zona/fonte di provenienza.

Impossibile non sottolineare la straordinaria qualità dell’insieme, dove il “talento” performativo della Zanardo (comunque eccezionale) si scioglie in una serie di sincronismi fonottici, fonovisivi con quelle stimolazioni “assenti” e nascoste, che risultano “improvvisati” e naturali all’acme della loro difficoltà esecutiva.

Roberta non ci ha guardati, se non per un attimo, e non ha recitato.

Per questo le siamo grati, come siamo grati a Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano,Dario Salvagnini e Pasquale Tricoci - scenografi, artisti visivi, attori, musicisti, etc - per quest’Arte Ab-soluta, anzi, per quest’“XXXX” che presto riusciremo a definire, ma già possiamo godere.

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sincronie di errori non prevedibili

Venezia, Fondamenta Nuove, 19 novembre 2009