TEATRO FONDAMENTA NUOVE PRESENTA...
 

gesti di teatro necessario
oofFouro: WBNR

What Burns Never Returns

Venezia, Fondamenta Nuove, 27 marzo 2009
 

di Gabriele FRANCIONI

 

30/lode

 

Collegamenti:

- Teatro Fondamenta Nuove

- Sito ufficiale Ooffouro

- recensione di ABQ

Prova aperta, flusso continuo, Piattaforma 7 di otto complessive, lavoro sulla mente dello spettatore che si lega sempre più ai complessi nessi multidisciplinari messi in atto, dopo un lungo lavoro di concezione e realizzazione, da Alessandro Carboni e dai suoi collaboratori (qui Danilo Casti e Manuel Carreras): “solo” questo è “What Burns Never returns”.

 

Epitome di una delle sintesi che fanno di TFNuove questa strana fucina affacciata sulla laguna, a detta di Andrea Lissoni (curatore di Fondazione Buziol) “uno dei migliori siti da scegliere per performare oggi in Italia, se non il migliore”, WBNR, altro acronimo che ben si adatta alla convivenza con codici generativi, serie numeriche, è la nuova stazione di un percorso creativo che ha nella continua esplorazione di un tema base la sua forza, la sua lucida capacità di generare un impatto devastante su chi osserva & pensa, come ha dimostrato il dibattito finale che ha coinvolto il pubblico.

 

Se ABQ era un po’ la “matrix” di tutta la ricerca sullo “Zero”, rodata, esposta ormai come un quadro perfetto o un testo scritto a chiare lettere, WBNR ci getta nella matassa delle 8 piattaforme che da quello Zero partono. L’idea-base, quella che ci sembra fondamentale, imprescindibile, è che qui si parli di coreografie derivate dalle dinamiche urbane, un po’ come la psicogeografia si interlacciava con gli input del contesto metropolitano, salvo privilegiare l’aspetto della relazione immediata e di una stocasticità su cui poi basare i cambiamenti di direzione.

 

Qui, Stazione 7, conta anche il non detto, il non visto: cioè le Piattaforme precedenti. Conta, come nel jazz dell’improvvisazione che viene dopo il dominio assoluto della materia musicale, l’aleatorietà (?) del commento musicale, peraltro così necessario. Prima - stazione 4, crediamo - ci si era limitati a rappresentare un quadro urbano fatto di domino in legno tutti alti uguali, una mappa “informe” dove l’evidenza del riferimento urbano non era così cercata. Ma era un passo necessario.  Altrove, in un’interconnessione  multiversa e splendidamente multisensoriale/multimediale di ricerche di geografie urbane, mappature elettroniche dei movimenti del danzatore perso nella metropoli post-baudelairiana, creava esperienze di interattività che battevano ogni analoga pretesa legata a blog/internet/social network.  Un quadro di controllo elettronico in cui veniva mappata, creandola al momento con un sistema Gps, la corsa del danzatore lontano chilometri dal luogo della performance al chiuso, permetteva di generare la doppia linea di azione di quello, che interagiva brutalmente (anche a livello audio) con il costruito e il vissuto, ovvero i passanti.   Un altro danzatore riproduceva le linee di forza della mappatura sullo “square” tracciato/disposto sul palcoscenico, mettendo in rappresentazione ciò che accadeva lontano dagli spettatori.  Carboni era il “sistema generativo”, il codice vivente di input diversi, subito messi in pratica.

Oltre a tale premessa sulla ricerca di una coreografia delle dinamiche urbane, conta la Via della Seta Al Contrario percorsa dallo Zero su cui si sofferma il ricercatore/coreografo sardo. Dall’India, sua generatrice, passa in Cina e arriva in Occidente, diventando materia di un pensare illimitato e, limitandoci alla nostra materia, affascina il Beckett di QUAD I, anche se più della sua “irrappresentabilità” affascinano le porzioni di “qualcosa” che avvicinano lo “zero” non diventando esso (derivate-integrali, o quarti di tono nella musica dell’indiano Mahantappa). Ad ogni modo, Carboni rifà la via della seta per arrivare a questa conclusione: un conto è l’apprendimento, la disciplina della danza delle regioni dell’India del Sud, che sono lì per relazionarti allo “zero storico”, mentre l’illuminazione, 3 anni fa, sta nel vedere in fieri, in progress la messa in atto dello zero urbano nelle città cinesi che  disfano e ricreano con velocità an-occidentale. 

Questa deposizione di edifici-corpi che poi rinascono è vista come una folle interpolazione di 0 e 1. Interessa trarre energia dall’atto depositivo/ decostruttivo. Quando il danzatore,come in WBNR, crea spazi per deporre la sua (ancora passiva) corporeità, ma rispettando i limiti del “quadrato” urbano e limitandosi a colonizzazioni di dimensioni antropomorfiche, tra pseudo crocifissioni alate o rannicchiamenti/raggruppamenti della propria massa, siamo in una fase di lento avanzamento verso l’esplosione del rapporto con lo spazio urbano. Si ergono “grattacieli”-prismi chiaramente evocativi dell’iper-oggi, ma qui il danzatore esce dal seminato e, non a caso, si fa buio. Mentre abbatte i domino più grandi, in un fragore crescente, non vediamo altro che il musicista chino sul vibrafono: la materia caduta si fa suono e, a luci riaccese, torna ad essere movimento coreografico.

In pratica, ed ecco l'altro punto fondamentale, il “distrutto” fisico, le macerie, la città in brandelli, la sottrazione di volumetria e porzioni urbane, diventano movimento coreografico. Il corpo del danzatore è un motore di riciclaggio di  spazzatura litica, un rielaboratore di dati ex-tridimensionali e solidi in esili circonvoluzioni gestuali.

TEATRO FONDAMENTA NUOVE PRESENTA...
 

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What Burns Never Returns

Venezia, Fondamenta Nuove, 27 marzo 2009