COLPIRE AL CUORE
di Gianni Amelio



Il BFM ha voluto festeggiare insieme a Gianni Amelio il compleanno del film.
Il raccontro del regista tra memoria, orgoglio e una ferita ancora non del tutto cicatrizzata
“Non credevo che sarei sopravissuto a questo film”. In questo modo un po’ perentorio Gianni Amelio si è presentato alla platea dell’Auditorium di Bergamo subito dopo la proiezione del Film COLPIRE AL CUORE di cui si festeggiavano i venti anni dalla realizzazione. Non deve essere facile per il regista calabrese raccontare le vicende che hanno portato alla stesura e alla realizzazione di uno dei film italiani più controversi e in parte “bistrattati” degli anni ottanta. “Non pensavo che sari riuscito a finire il film e per me è stata già una bella soddisfazione ritrovarmi con la pellicola montata” ha detto poi Amelio e per capire l’origine di tante difficoltà è necessario entrare un po’ in dettaglio nella vicenda narrata dal film. Emilio è un ragazzo di quindici anni molto maturo per la sua età. Con il padre Dario, uno stimato professore universitario, ha un rapporto apparentemente sereno, improntato al reciproco rispetto. Un giorno Emilio scopre che un terrorista morto durante un conflitto a fuoco a Milano era lo stesso ragazzo che spesso faceva visita al padre e con il quale quest’ultimo aveva un rapporto di stretta amicizia. Ossessionato dal dubbio che anche il padre sia colluso con i terroristi, Emilio decide di andare dalla polizia e denunciare il fatto. Quando Dario, dopo l’interrogatorio, viene rilasciato, si giustifica nei confronti di Emilio dicendo che con quella gente lui non ha nulla a che spartire. Tra padre e figlio però il rapporto si è incrinato, Emilio nutre forti dubbi e l’atteggiamento minimizzante del padre non lo convince. Quando poi Emilio ha le prove che il padre continua a frequentare, nonostante abbia giurato sul contrario, la giovane fidanzata del ragazzo ucciso ricercata dalla polizia anche lei per terrorismo, tra i due la rottura si fa quasi insanabile. Dario afferma che Emilio non può permettersi di giudicarlo, che lui non può capire; Emilio, ostentando una artificiosa sicurezza insiste affinché il padre denunci la ragazza, se veramente non ha nulla a che spartire con lei come afferma. Lo scontro tra il genitore e il figlio, generazionale, affettivo ed etico e nello sesso tempo, sembra non avere sbocchi. “Il film ha avuto una gestazione difficile perché ovviamente un soggetto così, in quegli anni, faceva paura. Tutto il tragitto che dalla scrittura ha portato alla realizzazione del film è stato un continuo interrogarsi su che cosa stessi facendo, proprio perché sulla pelle io sentivo gli stessi problemi che si agitano nei personaggi. Non sapevo mai se avessero ragione tutti e due, oppure avesse più ragione uno o l’altro, e soprattutto se avessi ragione io a voler raccontare questa storia. Io penso che sia naturale che un regista si schieri forse da tutte le parti perché se non ama i personaggi che racconta non può pretendere di metterli in scena con credibilità”. Col senno di poi si può dire che fu proprio questo suo non voler prendere posizione, questo voler giustificare in fondo anche il terrorista Dario come una vittima degli eventi, a far piovere le accuse più pesanti sul film. In quegli anni un atteggiamento simile non era accettabile “Io e il produttore Paolo Valmarana fummo attaccati già dopo l’ultimo giorno di montaggio; l’allora direttore di RAI 1 disse che per lui non era importane se il film era bello o brutto perché rappresentava in ogni caso una “cattiva azione”. Questo è stato l’unico film prodotto dalla RAI che non è stato seguito da nessuno funzionario quando è stato presentato a Cannes”. Oggi il dibattito su cui getta luce Amelio appare molto datato ma in quegli anni, per un regista per di più alle prese con il primo 35mm la prospettiva era molto diversa. “Ci fu anche un caso di auto-censura. Decidemmo di tagliare un pezzo della entrata in scena finale dopo che, grazie alla sua denuncia, il padre era stato arrestato dalla polizia. Il modo in cui il ragazzo entrava nell’inquadratura lo rappresentava come il “Giuda” della situazione, come a volerlo punire per il gesto “da spia” che aveva fatto. Decidemmo che non era opportuno inserire quella scena e facemmo un taglio di una ventina di secondi”. Nella chiusura dell’intervento, Amelio non riesce a dissimulare un certo rammarico “L’unico a credere veramente nel film fu il produttore Paolo Valmarana mentre chi non ci ha creduto è stata la distribuzione e anche la RAI. Il film fu distribuito nel 1983 e fu trasmesso dalla televisione solamente verso la fine degli anni ottanta. Relegato in seconda serata e senza neppure cercare di far nascere un dibattito, una discussione, una analisi più attenta. Si è preferito far passare il film nel silenzio.”

Loris SERAFINO
16 - 03 - 02


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