SPECIALE HAL ASHBY

 

di Marco BRUNELLI


HAL ASHBY

Quando si parla della cosiddetta Golden Age del cinema americano (che idealmente comincia nel ’69 a seguito del successo di Easy Rider e termina con il flop colossale di Heaven’s Gate di Cimino del 1980) i nomi che finiscono per uscire fuori sono quasi sempre i soliti: Coppola naturalmente, poi Scorsese, il “collettivo” Altman, il cinema fantastico di Spielberg, i virtuosismi di De Palma e le innovazioni tecniche di Lucas.
Ci sono però altri artisti meno celebri che hanno contribuito enormemente allo sviluppo di un cinema più maturo e dalle tematiche più impegnate.
Gente come John Sayles, Bob Rafelson, Stuart Rosenberg, Arthur Penn e appunto Hal Ashby.
Ashby è stato uno dei più prolifici filmmakers degli anni ’70,  a partire dal sorprendente esordio con The Landlord, fino all’ultimo film degno di nota di Peter Sellers; lo splendido Being There.
Nel mezzo pietre miliari riconosciute come Harold & Maude, The Last Detail e Shampoo.
Eppure nonostante tutto Ashby è poco ricordato oggi, complice anche una filmografia piuttosto smilza ma di tutto rispetto se si tiene conto che la prima pellicola viene diretta a 40 anni suonati.

 

Bound for Glory (1976)/Questa Terra è La mia Terra
 

Hal Ashby nasce il 2 settembre del 1929 in una comunità di mormoni a Ogden nello Stato dello Utah, allevato da genitori contadini. Dopo un’infanzia piuttosto dura che include la separazione dei genitori, il suicidio del padre ed un matrimonio lampo cui fa seguito un altrettanto veloce divorzio, a 19 anni il giovane Ashby decide di lasciare lo Utah per la California. Da umile impiegato negli uffici degli Universal Studios, diventa assistente al montaggio: la svolta nel 1965, quando al nostro viene affidato il montaggio principale di The Loved One di Tony Richardson (Ned Kelly, Tom Jones), una commedia dark ambientata nel mondo delle pompe funebri. Entrato a pieno diritto nel mondo del cinema Ashby diventa montatore di professione, ed inizia una fruttuosa collaborazione con il leggendario regista Norman Jewison (collaborerà fra l’altro al montaggio di The Cincinnati Kid, The Russians are Coming, The Russians are Coming e The Thomas Crown Affair), che culminerà con la nomination e il meritato premio Oscar per il montaggio di In the Heat of the Night (La calda notte dell’Ispettore Tibbs, il titolo italiano).
Lo stesso Jewison lancerà Ashby alla regia, proponendogli lo script di The Landlord nel 1970.

 

The Landlord (1970)/Il Padrone di Casa
 

La pellicola è una sorta di commedia con spunti drammatici che risente abbastanza pesantemente degli influssi della Blaxploitation: la storia di un giovane figlio di una famiglia benestante e razzista, che si innamora di una donna di colore che finirà poi per mettere incinta, può sembrare banale al giorno d’oggi, se non addirittura didascalica, eppure all’epoca il film causò non poche controversie. Il plot non era certo dei più usuali all’epoca della uscita nelle sale, e i rapporti interrazziali , mostrati poco volentieri, venivano quindi dribblati o totalmente censurati.
Nel migliore dei casi Hollywood si limitava a commedie agrodolci dal sapore un po’ ipocrita che affrontavano la tematica in questione in modo superficiale e senza prendere posizione: Ashby mostra invece la vita di una comunità di neri emarginati dall’interno, e lo spaesato bianco Elgar (Beau Bridges) diventa così l’occhio che funge da punto di vista privilegiato e alter ego dello spettatore che si identifica così nel protagonista.
The Landlord non è comunque una delle opere più riuscite dell’autore, alcuni aspetti risultano oggi un po’ troppo datati, e ci sono diverse forzature nella sceneggiature; figlie, molto probabilmente,  di pressioni esterne (anche inconsce). Si tratta comunque della pellicola che lancia Ashby come regista, e che lo porterà un anno dopo a dirigere quella che è la sua opera più celebre: Harold & Maude.

 

Harold and Maude (1971)/Harold e Maude

Scritta dall’allora studente universitario Colin Higgins come tesi finale alla storica UCLA, la pellicola comincia a mostrare quell’ironia e quel gusto per lo humour nero che saranno delle costanti nel cinema di Ashby: il film narra la storia di Harold Chasen (Bud Cort, uno dei tanti alunni di Altman), giovane depresso cronico e ossessionato dalla morte, che passa il tempo ad organizzare elaborati falsi suicidi per scioccare la madre alto-borghese e a frequentare funerali. Proprio in uno di questi incontrerà Maude (Ruth Gordon), eclettica ottantenne che nonostante la veneranda età non si vergogna di sfoggiare il proprio amore per la vita. Fra i due nascerà una profonda amicizia, e addirittura l’amore che sfocerà in un inaspettato e sofferto matrimonio.
Il film fu un fallimento dal punto di vista degli incassi, ma gradualmente riuscì a trovare un proprio pubblico grazie a ripetute proiezioni in circoli cinefili e Art House, fino a raggiungere lo status di Cult assoluto: l’azzeccata colonna sonora di Cat Stevens e l’atmosfera anarchica che aleggia per tutto il film rendono Harold & Maude una delle più memorabili storie d’amore del cinema contemporaneo - e ha senz’altro influenzato in maniere sensibile opere più recenti come Rushmore e Igby Goes Down.

Ashby dimostra ancora di saper fondere con abilità comicità e dramma con l’opera successiva The Last Detail, tratto da un romanzo di Darryl Ponicsan e sceneggiato da Robert Towne (Chinatown): due uomini della marina (Jack Nicholson e Otis Young) devono scortare un giovane prigioniero (Randy Quaid), che attende con un’ostentata indifferenza la propria sentenza. Durante il percorso i tre finiranno per conoscersi meglio, ed il giovane prigioniero comincerà ad apprezzare lentamente la bellezza di un mondo che prima della condanna era sempre stato oscurato.

 

The Last Detail (1973)/L’ultima Corvée

Nonostante il tono sopra le righe che caratterizza la vicenda, il finale (proprio come in Harold & Maude) è quasi tragico, ma con un barlume di speranza per il futuro. The Last Detail fu un moderato successo quando uscì nel 1973, e anche in questo caso le pellicola è riuscita col tempo a godere una rivalutazione generale da parte della critica.

è però Shampoo del 1975, il film di maggior successo critico e commerciale della carriera di Ashby. Sceneggiata ancora da Towne (considerato firma d’orata nell’industria degli anni settanta), la pellicola è una commedia priva di quel retrogusto amarognolo che aveva caratterizzato le opere precedenti del regista. Questa maggiore convenzionalità è forse proprio la ragione principale del successo che il film ottenne all’epoca, complice anche la presenza di star come Warren Beatty e Goldie Hawn nel Cast. La storia di un barbiere dongiovanni e dei vari tentativi di aprire un salone per signore sono solo il pretesto per innescare una serie di relazioni incrociate che non sfigurerebbero in una delle migliori commedie di Wilder: nonostante tutto è però forse l’opera meno impegnata di Ashby, che riesce comunque a regalare momenti di grande cinema con la scena del party nelle Hollywood Hills (che sembra simboleggiare la decadenza è il marciume dell’America borghese di quegli anni) e con un finale realistico e anticonvenzionale.
 

Shampoo (1975) / Id.

Nel 1976, Ashby dirige la biografia del cantante folk Woody Guthrie (da non confondere col figlio Arlo, protagonista di Alice’s Restaurant di Arthur Penn). Da ricordare per essere stato il primo film ad utilizzare la celebre Steadicam di Garrett Brown, nel personaggio principale si riscontrano le caratteristiche proprietà degli eroi “Ashbyani”: appunto che spicca particolarmente nella conclusione, che vede l’idealista Woody rinunciare all’opportunità di dirigere un proprio spettacolo radio prediligendo invece una romantica vita di strada.

Il successivo Coming Home è l’opera del regista che più di tutte riuscì a conquistarsi il favore della critica durante la sua uscita nel 1978: oltre a conquistare diversi academy awards, il film diede ad Ashby la soddisfazione di una nomination come miglior regista (premio che andò poi a Cimino per The Deer Hunter).

Originariamente pensato per essere diretto da John Schlesinger, lo script subì diverse modifiche prima di raggiungere lo stato attuale: la storia del difficile reinserimento nella vita di tutti i giorni di un disabile di ritorno dal Vietnam trova i suoi punti forti in un cast che può contare stelle del calibro di Jane Fonda (anche madrina del progetto), John Voight e Robert Carradine. Una delle prima pellicole a esplorare l’impatto della guerra in Vietnam sui reduci e sui propri cari rimasti a casa (tema solo accennato nel già citato The Deer Hunter di Cimino), il film difetta troppo spesso di un certo facile sentimentalismo e nonostante il successo ricevuto all’epoca oggi suona forse un po’ troppo datato: punto di forza è comunque la colonna sonora, con un uso della musica azzeccato che funge da commento alle azioni della vicenda. Elemento questo che appare particolarmente evidente quando all’inizio del film Ashby contrappone al training nella base militare il pezzo “Out of time” dei Rolling Stones per sottolineare il punto di vista di Bob (Bruce Dern) o nel finale con la scelta di “Once I was” di Tim Buckley.
 


Coming Home (1978)/Tornando a Casa
 

Being There del 1980 è noto ai più per essere stato il canto del cigno di uno strepitoso Peter Sellers nel suo unico ruolo drammatico. è anche l’ultima opera di rilievo del regista che narra della storia di Chance, giardiniere sempliciotto che ha passato tutta la sua vita a Washington nella casa di un anziano presso cui ha prestato servizio e che con la morte del vecchio si ritrova senza un posto dove andare e senza alcuna idea di come funzioni il mondo - eccetto quel poco appreso dalla televisione.
Tratta dal romanzo di Jerzy Kosinski, anche adattatore della sceneggiatura, la vicenda (principalmente una satira sulla società americana e sulla massiccia influenza della televisione su di questa) all’apparenza semplice, dimostra di avere in realtà diverse chiavi di lettura ed è una di quelle opere che premiano le successive visioni da parte dello spettatore. Sellers regala una delle sue interpretazioni migliori in un ruolo per lui inusuale e per il quale si è battuto fortemente, ma anche Shirley MacLaine e Melvyn Douglas (vincitore del premio oscar come miglior attore non protagonista) non sono da meno.
 

Being There (1979)/Oltre il Giardino
 

è purtroppo però questo l’ultimo film di rilievo di Ashby, che da ammirato autore diventerà nei primi anni ottanta mero director “for hire”: sarà in questo periodo che il regista legherà il proprio nome a flop disastrosi come Lookin’ to Get Out (1982), The Sluggers’ Wife (1985) e 8 Million Ways to Die (1986). In mezzo un documentario sul “Tattoo your tour” dei Rolling Stones del 1981, Let’s spend the night Together (1983).

Le ragioni di un simile e sorprendente declino dopo una carriera così promettente non sono facili da trovare: alcuni dicono sia stato l’uso massiccio di droghe da parte dell’autore durante gli anni ’70, altri danno la colpa al cambiamento politico e culturale dell’America di Reagan che improvvisamente non ammetteva più nelle sue file gli antieroi tanto amati da Ashby. Ciò non toglie che durante quello che è universalmente riconosciuto come il decennio d’oro del cinema Statunitense, Hal Ashby sia stato uno dei più influenti e rivoluzionari autori - sicuramente un’artista rimasto in ombra per troppo tempo e che merita di essere riscoperto.
Il 27 dicembre del 1988 Hal Ashby si spegne all’età di 59 anni per un cancro al fegato.


FILMOGRAFIA

• 8 Million Ways to Die (1986) / Otto Milioni di Modi di Morire
• The Slugger’s Wife (1985) / La Moglie del Campione
• Let’s Spend the Night Together (1983) / Time is on our Side
• Lookin’ to Get Out (1982) / Cercando di Uscire
• Being There (1979) / Oltre il Giardino
• Coming Home (1978) / Tornando a Casa
• Bound for Glory (1976) / Questa Terra è La mia Terra
• Shampoo (1975) / Id.
• The Last Detail (1973) / L’ultima Corvée
• Harold and Maude (1971) / Harold e Maude
• The Landlord (1970) / Il Padrone di Casa
 

SPECIALE HAL ASHBY

di Marco BRUNELLI
Data pub.:30:01:2006