KINEMATRIX INTERVISTA

paolo virzì

regista del film "tutta la vita davanti"

di Sarah GHERBITZ

 

Chissà perché, dopo aver visto il film Tutta la vita davanti, la sensazione che rimane è quella di aver camminato senza sosta per moltissimi chilometri. Sarà perché diversamente da tanti film ‘piccoli’, sia negli spazi che di testa, in questo i personaggi si muovono in continuazione e si spostano da un punto all’altro della metropoli con facilità estrema. Che sia a bordo di un autobus, oppure di un tram, metropolitana, ed anche in macchina, qualsiasi mezzo va bene, tanto, sembra suggerire il film, l’importante è muoversi, cambiare, crescere, andare avanti. Vale anche per Marta (Isabella Ragonese), 25 anni, un’aspirante ricercatrice universitaria che, emigrata dal profondo Sud nella capitale, sbarca il lunario nel call center di una multinazionale. Dove anche qui tutti sembrano avere una fretta indiavolata, bianconigli con l’auricolare blue tooth. Ma si respira anche un clima da ‘affinità elettive’ con “Dancer in the dark”, vuoi per la sua piccola protagonista da quell’aria un po’ buffa, vuoi per la scelta di pennellare la storia con i sogni ispirati ai musical americani degli anni ‘50, sono gli unici momenti che l’aiutano a rendere l’inferno del lavoro più sopportabile.

E soprattutto servono a farle dimenticare il terribile dramma famigliare che porta dentro di sé, e nella fiaba, crudele come tutte le fiabe, il palazzo della multinazionale diventa il Bosco, lo spazio-limbo nel quale trasformare il lutto nella consapevolezza di sé. Dall’incontro con Sonia (Micaela Ramazzotti), una ragazza madre sciagurata e le altre ragazze che si eccitano per le storie tra la dottoressa e Roby nel Grande Fratello, e soprattutto l’incontro con la capo-telefonista vestita stile dominatrix (Sabrina Ferilli), apparentemente piena d’entusiasmo ed ‘arrivata’, in realtà dentro è una povera anima impazzita che passa le serate nella sua villetta dai divani leopardati ascoltando Ornella Vanoni e a fantasticare sulle gite aziendali a Miami. Quelle che la circondano sono come tante figurine che si staccano dall’unico, grande, corpo materno, mentre sul desktop del suo computer tiene appiccicata una fotografia di Hannah Arendt, filosofa ebrea che raccontando nel libro “La Banalità del Male” il processo a Adolf Eichmann, il ragioniere nazista della ‘soluzione finale’, si stupiva di vederlo come l’incarnazione di un disastro umano e di tanta meschinità che non la fa odiare ma che le suscita una profonda pena.

“Abbiamo cercato di raccontare un paese dove vittime e carnefici stanno tutti sullo stesso piano, gli sfruttatori sono manager da 880.000 euro all’anno che hanno qualcuno sopra di loro che gli chiede lo stesso rendimento e la stessa prestazione che loro si ritrovano a chiedere a quello che hanno sotto” ha detto Paolo Virzì, che abbiamo intervistato a Trieste dove ha presentato il film nella rassegna FilMakers a cura dell’Agis e La Cappella Underground.

KINEMATRIX: Come nasce l’idea del film e qual è il rapporto con il libro “Il mondo deve sapere” di Michela Murgia?

Il cast del film con il regista

PAOLO VIRZì: Il racconto di Michela della sua esperienza alla Kirby è stato il nostro materiale di prima mano, eravamo alla ricerca di un’informazione che non fosse filtrata, ma che fosse possibilmente vissuta da qualcuno all’interno, e in questo senso l’incontro è stato provvidenziale. Tuttavia nel libro non c’è una vera e propria trama, e il film era già in marcia, eravamo partiti raccogliendo le testimonianze e parlando con molti sindacalisti della Cgil-Nidil. All’inizio il progetto nasceva come un remake di I compagni di Monicelli, capolavoro degli anni ‘60 che racconta l’arrivo in una fabbrica della Torino postunitaria di un sindacalista idealista e squattrinato che portava il verbo della tutela e dei diritti agli operai nella stagione in cui si lavorava 15 ore al giorno e non c’era sciopero né tutele. Quindi l’idea iniziale era di rifarlo oggi ambientandolo in un call center mantenendo la prospettiva di questo sindacalista, un Don Chisciotte pasticcione (Valerio Mastandrea) che cerca di salvare le telefoniste precarie per proteggerle. Poi l’incontro con Michela ci ha svelato un’altra possibile prospettiva interessante, il punto di vista di una ragazza colta che sta in un call center sotto mentite spoglie.

KMX Allo stesso tempo il film possiede un forte respiro corale, che cosa ci può dire degli altri personaggi che Marta incontra nel suo percorso e che cosa rappresentano per lei?

Massimo Ghini, Sabrina Ferilli e Virzì

PV In realtà sono quasi delle figurine da cartone animato, delle maschere del nostro tempo: la laureata intelligente e sottooccupata, l’aspirante velina e quella che per i ritmi di lavoro si è un po’ fusa il cervello. Rivedendolo siamo rimasti colpiti dall’immagine che può dare il call center con queste ragazze tutte insieme, tutte nella stessa stanza, obbligate a sorridere ma tutte sole, obbligate ad essere sole ed obbligate a comunicare istericamente solo nei pochi istanti in cui è consentita la pausa e con dentro un desiderio enorme di far comunità ma represso e frustrato dalle regole. In fondo il film narra anche sotterraneamente la storia di una famiglia che nasce un po’ sui generis, una famiglia composta da due ragazze, una bambina e forse da una nonna dove, pur non essendo proprio una famiglia corre un’autentico e schietto senso di solidarietà. Ci è sembrato bello suggerire, a mo’ di auspicio, che la medicina al grande dolore del nostro tempo sia questa risorsa ‘segreta’ di solidarietà femminile.

KNX Quella di scegliere un’attrice semi-sconosciuta come Isabella Ragonese per il ruolo da protagonista è stata un’autentica scommessa, come l’ha scelta?

PV Ero alla ricerca di una ragazza colta intelligente ironica, disponibile anche a capire e perdonare per gli altri, con un profondo senso di empatia. Allo stesso tempo un personaggio che non è un santino ma che ha anche le sue debolezze, come nel momento in cui si mette in testa di diventare la migliore telefonista di tutte, come se partecipasse anche lei a questo gioco innocente e prima di rendersi conto di quello che c’è dietro la tragedia dello sfruttamento e plagio di tanti ragazzi. Isabella è stata fondamentale perché ha portato la sua verità di vera laureanda in filosofia anche se lei è un’attrice teatrale, aveva lavorato con il gruppo palermitano di Emma Dante, mentre al cinema aveva fatto solo una piccola parte, anche se incisiva, in Nuovomondo di Crialese. Il suo ruolo non era facile perché si trovava a fronteggiare una serie di ring e di match diversi con attori di grande stoffa che avevano da fare dei bei numeri, mentre il suo è un personaggio soprattutto di osservazione.

KMX Che cosa pensa del ricorso sempre più frequente ad attori non professionisti?

una scena del film

PV L’ho sempre fatto, è una cosa che credo di avere appreso dai maestri della commedia, a cominciare da De Sica che è stato il primo a farlo in modo esemplare. Mi piace mescolarli, è un modo interessante di creare una tavolozza di colori con delle possibilità espressive che possano tenere insieme da una parte l’esigenza della verità e dall’altra le esigenze sceniche, cioè di quel momento in cui la messa in scena diventa un trucco, un artificio, una bugia che dice la verità. Nel film lo abbiamo fatto non solo con Isabella, che non è proprio una presa dal vero, anche se meno esperta di altre anche lei è un’attrice, ma con le tante ragazze e ragazzi che abbiamo coinvolto, i venditori e le telefoniste che sono particolarmente bravi. In certi momenti quando rivedevo le scene al montaggio mi colpiva scoprire ogni volta delle sfumature nuove anche in quelli che stanno in fondo, magari anche un po’ sfocati, ma che hanno contribuito a rendere il film veritiero nel suo complesso.

KMX Ci sono degli elementi di noir, che peso hanno nel film?

PV (ride, ndr): Sì, per la prima volta c’è un personaggio di un mio film che finisce in una pozza di sangue con gli occhi sbarrati! Ridevamo molto mentre la giravamo, per me era irresistibile l’immagine del mio amico Massimo Ghini riverso per terra in questa pozza di sangue e quel momento l’abbiamo dedicato a Tarantino: il trash di Massaccesi (Joe D’Amato, ndr) è tornato!! Sono disposto a visitare tutti i generi a patto che dentro ci sia sempre una convivenza di elementi di drammaticità reale e umana, a patto che non sia solo un esercizio virtuosistico ma ci sia un palpito umano, un’esigenza, una necessità, oserei dire.

Trieste, 05 aprile 2008