Sarà banale dirlo, ma due tra i più autorevoli
rimuginatori, nelle ubbìe esistenzialiste e postesistenzialiste
dell'immediato dopoguerra, del legame fatale tra Morte e Tempo, sono stati
uniti proprio da Tempo e Morte.
Nello spettro degli stili e delle visioni possibili che incarnassero questo
legame, Bergman e Antonioni stavano assai lontani, quasi in regioni opposte.
L'uno vedeva la morte nell'istante congelato, nella durezza granitica e
statuaria del tempo fermo, nella maschera glaciale che guarda la macchina da
presa fermandone la corsa. L'altro la trovava nello sfaldarsi delle trame
del visibile, nella scoperta che seguire il filo dello spazio significa
inevitabilmente disfare la matassa, perderne la consistenza fino a rivelarla
gassosa, espansa, imprendibile.
In entrambi i casi, un supremo esorcizzare la morte prendendola di petto,
guardando in faccia il suo volto impassibile per farne il ritratto e
prendere tempo fino alla sua prossima mossa sulla scacchiera. Esorcismo
direttamente legato a quello dell'altra scissione, cruciale per entrambi:
quella tra maschile e femminile, anch'esso assai diversamente affrontato in
un caso e nell'altro.
Bisogna riguardarli, i loro film, buttare via gli assurdi pregiudizi sulle
loro ultime cose, e accorgersi (finalmente) di come da un po' il femminile
non fosse più il limite irraggiungibile della cronica incompiutezza
maschile, ma fosse penetrato dentro le venature stesse del loro cinema, dal
labirinto senza inizio né fine de "Il filo segreto delle cose" (il corto di
"Eros"), a Marianne (Liv Ullmann, ovviamente) che tiene le redini dei mille
frammenti dello specchio rotto di "Sarabande", al definitivo perdersi nella
nebbia di uno spazio senza più coordinate in "Identificazione di una donna",
dove la donna non si identifica più perchè la sua incostanza è troppo uguale
a quella dell'occhio che cerca di vederla.
E allora, bisogna ancora una volta rivedere i loro film con occhi liberi da
incrostazioni tematiche da rotocalco (c'è ancora chi si illude che i film di
Antonioni coincidono coi dialoghi di Tonino Guerra, che sia "quello
dell'incomunicabilità"... figuriamoci) per accorgersi che questi due
grandissimi del novecento (e oltre) hanno saputo sparigliare questa
scissione (maschile-femminile) per battere sulla scacchiera quell'altra
scissione, quella che li unisce oggi con quel rigore didascalico che a loro
è stato sempre ingiustamente imputato.
Martedì 31 luglio 2007 |