TEATRO VALLE OCCUPATO

la cultura a(L) valle

 

 

di Raethia CORSINI

L’autunno scorso la fila era lunghissima: per vedere uno spettacolo a offerta libera, dovevi arrivare almeno due ore prima. E non era garantita la conquista di un posto. Certo dipendeva dall’ospite della  serata. È stato un pienone con Paolo Rossi, Tony Servillo, Renzo Arbore, Dario Fo e Franca Rame, Lillo e Greg, Stefano Bollani, Vinicio Capossela, per citare solo alcuni dei nomi più famosi della scena artistica italiana arrivati qua a sostenere una causa. Anzi, una rivoluzione: la nascita della Cultura come Bene Comune. Si legge sul sito del Teatro Valle occupato (che è diverso dal sito ufficiale del Teatro Valle e che è fermo dal luglio scorso): ci muoviamo per resistere e resistendo costruiamo il nuovo possibile, da subito. Dunque sì, la stagione è “saltata” perché al Valle va in scena una rivolta civile e artistica. Più che un’occupazione come tante, è una “chiamata alle arti”, un momento costituente. Di che cosa? Della Fondazione e del suo statuto, un work in progress sul quale lavorano occupanti, artisti, cittadinanza e intellettuali di spicco come Stefano Rodotà e Ugo Mattei. Lo Statuto mira a sviluppare uno “spazio teatrale condiviso” dove Fondazione è la forma e l’azionariato diffuso, la sostanza.

A fine gennaio, prima che la neve s'impossessasse della città, in una sera molto fredda, la fila fuori non c’era. La sala però si è riempita quasi tutta per seguire il bel monologo/reading di Chiara Caselli, che ha offerto al pubblico un’intensa e non banale interpretazione di Molly Bloom - moglie di Ulisse, nell’opera di Joyce. Un flusso di coscienza non facile da seguire. Chi era in sala però ha applaudito, partecipato e sulla maggior parte dei volti, alla fine della serata, si leggeva la soddisfazione per aver assistito a qualcosa di non usuale. Fa niente se a tratti complicato da comprendere a chi non aveva mai avvicinato testi simili, contava di più essere lì a prezzi popolari – ovvero decisi dal “popolo” secondo propria disponibilità – sapendo in qualche modo che, oltre allo spettacolo, si stava contribuendo a “una cosa” ancora indefinibile, ma con un buon sapore. «Crediamo nell’arte come contaminazione, ossia un rapporto meno ingessato con testi, musica, immagini, installazioni, danza, letture. Non più solo consumo ma esperienza», mi diceva Valerio Gatto Bonanni, attore e occupante che ho incrociato certe volte fuori dal teatro, la mattina con ramazza in mano, «perché il Valle è di tutti ed è cosa pubblica e dobbiamo tenerlo bene, in tutti i sensi». Valerio è come la maggior parte degli occupanti un artista che al Valle ci ha lavorato forse un paio di volte.  Non fa, cioè parte, delle maestranze un tempo alle dipendenze dello stabile. Quelli sono stati quasi tutti riassorbiti al Ministero della cultura, e spesso con mansioni inferiori. 

Chi  oggi occupa il teatro, che è diventato modello per altri spazi artistici in Italia, sente il Valle “come suo” perché lo sente “di tutti” e l’idea alla base è che anche il pubblico diventi “attore”: «Il teatro come luogo dell'arte che costruisce ponti con il Nuovo, con il Cambiamento». Questa è la ragione per cui al Valle, oltre agli spettacoli proposti/offerti dai singoli artisti, registi, compagnie, si tengono anche laboratori di teatro e arti, aperti “alla gente”. «Sperimentiamo il flusso», racconta ancora Valerio, che aggiunge: «La Fondazione Valle per la Cultura Bene Comune, ha come obiettivo anche la creazione di un nuovo modo di “fare economia”. Oggi il sistema è antropocentrico, noi ne vogliamo uno ecologico, che praticabile solo in una continua relazione-condivisione-partecipazione. Gli esempi ci sono già: reti sociali, banche del tempo, orti collettivi. Anche per la cultura è possibile». Il Teatro Valle per ora resta occupato e in trattativa con il Comune di Roma sulle sue sorti future. Una parte del pubblico romano sta cominciando a prenderci confidenza.

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