18.MO FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI

 

LO SPLENDORE DEI SUPPLIZI

FIBRE PARALLELE


01 - 26/Giugno 2013

 

di Gaia Clotilde CHERNETICH

scheda

Una guardia incappucciata osserva il pubblico che prende posto in platea. Il palcoscenico della Cavallerizza Reale è chiuso da una tenda nera sulla quale il titolo - Lo Splendore dei Supplizi  - è proiettato in una grafia bianca e corsiva che, tuttavia, è solo un’illusione di leggerezza poiché la trama interna dei supplizi è fatta di fili scuri.
Che accada nel buio di una cella, tra le mura di casa oppure nella mente, il supplizio è il precipizio multiforme in cui la fragile natura umana precipita. Facendo eco a Foucault e sfruttando con ironia il rapporto che il concetto stesso di supplizio instaura con le dimensioni di interno/esterno, Fibre Parallele ha presentato in prima nazionale al Festival delle Colline Torinesi una creazione in quattro scene: La coppia, Il giocatore, La badante, Il vegano.

Il supplizio, un tempo pratica di punizione ed esercizio pubblico del potere, è affrontato nella sua accezione contemporanea - sempre sociale - ma implicita. Nello spettacolo appaiono situazioni limpide, ottimamente costruite, in cui l’umano si offre all’esternazione della meschinità, della precarietà e dell’illusione di verità che lo attanaglia. L’ambientazione è sempre quella - chiusa - dell’interno, laboratorio di forze in opposizione. Il cuore della ricerca di Licia Lanera e Riccardo Spagnulo è nel punto in cui la mancata benevola accoglienza della fragilità diventa luogo di un nevrotico gioco di frizioni. Fibre Parallele ha scelto, infatti, situazioni accomunate da una forma di rigidità: la promessa eterna, l’ossessione (per il gioco), la vecchiaia e l’ideologia. La struttura de Lo Splendore dei Supplizi è circolare: due ore nettamente divise in quattro scene separate da un intervallo centrale.

La coppia è una cella di luce quadrata. Seduti sul divano bianco si discute incatenati come cani al guinzaglio. Lui lavora oltreoceano, mentre lei - già vestita da sposa - lo attende reclamando il compimento del suo progetto che, evidentemente, è questione di vita o di morte, la sua. Il dialogo è carico e brillante: le voci si sovrappongono, la logica si sfalda, il ritmo si scalda e la verità si svuota, sempre di più. L’evidenza di un’incrinatura letale non riesce a spegnere i desideri che - non assecondati a dovere - diventano una strana fame di vita dai contorni triviali. È dolce la torta nuziale, così come dolce vorrebbe essere l'apparente accettazione dei desideri altrui. La coppia è luogo di supplizi poiché il rapporto è mediato da una forma di potere, quella dei desideri dell'Io che lottano contro i desideri del Tu. Il legame è così una reale coda di catena che trattiene gli attori nei pressi del divano. Il gioco è sporco, è chiaro, ma il candore dell'abito è abbagliante: non resta altro da fare che avventarsi con bramosia sulla torta nuziale, roccaforte inespugnabile e sacra, custode e surrogato della dolcezza della vita.

Con Il giocatore si cambia luce. Quando l'aguzzino solleva la tenda Riccardo Spagnulo nel suo letto si tocca cercando il piacere, un piacere simile a quello da cui è già intossicato, e ne vuole ancora: il gioco d’azzardo, il videopoker. Emergono, con il testo, i contorni di una vita in caduta libera, sovrapposizione di fallimenti e miseria. Una marionetta - mossa da ventriloquo dallo stesso attore in un dialogo ben fatto di voci alterne - è l’amico immaginario che ascolta, rassicura, sgrida, assiste, partecipa. La scena è un nucleo di disordine, oggetti sparsi e un pallone con cui fare goal per sentirsi - all’occorrenza - un campione. La città di provenienza della compagnia - Bari - traspare nella lingua, dialettale. Sono forse troppi, solamente, gli elementi chiamati a disegnare questo quadro: c’è il sesso, i soldi, il gioco, il calcio, il pianto, il riso, il lavoro che non c’è e pure la mamma morta che, in scena come uno zombie dalle mani rosse, rivendica una degna sepoltura. Procedendo per accumulazione, la scena si riempie di significati, parole e disperazione. L’aguzzino, come una macchinetta, è il bersaglio di monetine lanciate compulsivamente fino al pignoramento dei beni finale che lascia nudo il corpo di Riccardo Spagnulo e nuda la scena. Ancora, è l’umano che resta, con la sua vulnerabilità completamente esposta.

Dopo l’intervallo La badante permette allo spettacolo di recuperare il buon filo conduttore estetico-espressivo che il quadro precedente, coi suoi toni grotteschi, aveva interrotto. La coppia formata dall’uomo anziano e dalla badante è iperreale e - diversamente da La Coppia che cromaticamente non usciva dal bianco e nero - qui la visione è punta da colori accesi: nel personaggio maschile in verde, Licia Lanera si muove per traiettorie lineari sorretta da un girello per anziani; lui, Spagnulo, è una badante spilungona e multicolore alle prese con un lavoro detestato e la nostalgia di casa. In questa scena silenziosa e rarefatta una voce off recita parti del Mein Kampf. Le azioni del duo sono il catalogo di ciò che la vecchiaia comporta: la sopportazione, il disgusto, la cattiveria, il desiderio del sesso, l’affetto, l’indifferenza, ... quasi a voler dire che la morte è la liberazione da una punizione, il supplizio per la sparizione della bellezza; il legame forzato tra l’uomo e la donna avviene, infatti, nell’attesa della fine. Il rapporto di potere che segna questa scena è una palla avvelenata da rilanciarsi in continuazione: la dipendenza e la forza sono variabili reciproche e indissolubili, che gli attori evocano fisicamente con precisione e cruda ironia.

Ma è con l’ultimo quadro, momento di scambio dei ruoli vittima/carnefice, che lo spettacolo si risolve. L'aguzzino che come un prestigiatore ha condotto le scene diventa egli stesso vittima. La forza della nota ironica, acuta, è nel non nascondere l’amarezza. La fine è il momento in cui, sorretto dalla bravura degli attori, tutto crolla: vittime e carnefici si confondono, l’ideologia - una qualsiasi, verrebbe da dire - implode, il rapporto di coppia decade, prima con l’illusione e poi con la morte, mentre il gioco d’azzardo, non più miraggio di ricchezza, si fa concreta povertà. Il vegano è colpevole della sua strategia alimentare, pertanto verrà punito, ingozzato a forza di ogni alimento animale possibile. Con la scena finale Fibre Parallele porta alle sue estreme conseguenze il paradosso iniziale, il supplizio ha una capacità splendida, è vero: penetra la verità, la esplicita, espone il lato fragile mettendo in luce l’inutilità di quel bordo rigido che si forma sul contorno delle vittime e dei carnefici, per entrambi, nello stesso identico modo
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LO SPLENDORE DEI SUPPLIZI, di Licia Lanera e Riccardo Spagnulo I regia Licia Lanera e Riccardo Spagnulo I di e con Licia Lanera e Riccardo Spagnulo e con Mino Decataldo I assistente alla regia Arianna Gambaccini I disegno luci Vincent Longuemare I consulenza e creazione muppet Marianna Di Muro I produzione Fibre Parallele, Festival delle Colline Torinesi I con il contributo di Regione Puglia e con il sostegno di Nuovo Teatro Abeliano I spettacolo promosso da Teatri del Tempo Presente progetto interregionale di promozione dello spettacolo dal vivo a cura di MiBAC - Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo I presentato in collaborazione con Fondazione Live Piemonte dal Vivo I prima nazionale 08 giugno 2013

SITO UFFICIALE

 

 

18.MO FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI

01 - 26/Giugno 2013