QUESTA NAVE PRESENTA...

 

il pescatore di nazareth

Teatro Aurora di Marghera, 22 ottobre 2008

 

di Carlotta TRINGALI

UN GESÙ RACCONTATO DA PERSONAGGI DELLA QUOTIDIANITÀ

Non colpisce e non convince Enrico Corradini con il suo monologo Il Pescatore di Nazareth, presentato in prima nazionale mercoledì 22 ottobre al Teatro Aurora di Marghera e inserito nella vivace compagine della scena veneziana. Il secondo appuntamento di ‘Dialogo con la città’ – sezione che promuove compagnie locali nella propria zona – propone con grande semplicità alcune vicende sulla vita di Gesù raccontate dal punto di vista di persone comuni e della nostra quotidianità. Ilarità e leggerezza aprono il sipario, in una scenografia assente, composta di poche pietre sparse, una tovaglia da pic-nic in terra con del cibo e un vaso di rose secche. Enrico Corradini – autore del testo e unico attore sul palco – alterna momenti solenni a battute irriverenti, accompagnato da un bravissimo gruppo musicale che con suoni jazz e blues riesce perfettamente a restituire l’atmosfera.
I motivi gradevoli e originali di The Round Robin Band – formata da Mattia Silli, Filippo Mosconi, Enrico Pagnin e Riccardo Sartorel – non bastano però a dare un’unità a una narrazione che risulta troppo frammentata. Lo stesso autore dichiara nelle note di regia di seguire ‘una linea anarchica e beffarda’ ma ciò non giustifica un monologo che risulta spesso privo di coinvolgimento. Sicuramente il microfono che usa Corradini per più di metà spettacolo non aiuta a far sviluppare quel rapporto unico tra attore e spettatore che contraddistingue il teatro, un rapporto invisibile ma che trova attraverso la gestualità e la nuda voce dell’interprete una via per arrivare diretto al petto di chi siede in platea. Con gran sollievo anche da parte del pubblico, alcuni problemi tecnici hanno obbligato l’attore mestrino a spegnere il microfono e usare il proprio timbro vocale in maniera molto più convincente, dando all’ultima parte dello spettacolo maggior immediatezza; il corpo di Corradini sembra più libero e riesce a comunicare molto di più. Bella nel finale l’idea di non rivolgere lo sguardo al pubblico, nel momento in cui con più pathos il narratore accusa Satana di ragionare come gli uomini: è come se una colpevolezza sia attribuita allo spettatore. Il personaggio del Nazzareno verso la fine si umanizza, non è più il messia che mette fine a ogni rancore e che porta amore ma prova rabbia e dolore; è un dolore che si riflette poi nel narratore, che per la prima volta apre gli occhi e vede con lo sguardo interiore ciò che prima non riusciva a comprendere: non si può decidere e uccidere gratuitamente solo per proprio egoismo.
Pur essendoci dei buoni spunti, tra cui anche il divertente personaggio del pescatore veneziano e l’immagine semplice ma piena di significato - perfetta per chiudere la pièce - in cui l’attore rende l’idea di Cristo in croce attraverso due canne da pesca e il vaso di rose secche, lo spettacolo non decolla.