fondazione claudio buziol
 

VENice 2132, OPEN STudio

"Artigianato e Creatività" - OPEN TALK

Venezia, Fondazione Buziol, 19/03 2010

di Gabriele FRANCIONI

Collegamenti:

- Fondazione Claudio Buziol

- Venice 2132 Open Studio

Una domanda ostinatamente silenziosa aleggiava a Palazzo Mangili Valmarana durante OPEN STUDIO: perché dev'essere una Fondazione privatissima come Buziol, per quanto impegnata in varie collaborazioni miste - in primis con lo IUAV - a doversi far carico di organizzare incontri che riguardano il presente e il futuro di una città e del suo intorno produttivo e culturale ? è chiaro che ciò finisce con l'aumentare il merito di Renzo di Renzo, Maria Luisa Frisa, Andrea Lissoni, Andrea Molino, etc e, naturalmente, degli Eredi Buziol, ma la latitanza delle istituzioni pubbliche nel prendersi cura perlomeno del dibattito sul territorio - soprattutto a dieci giorni dalle elezioni - è grave e "fragorosa", se ascoltata dalle sale attive e laboriose della Fondazione.

Questa sera si è parlato di Artigianato e Industria: meglio, del rischio di scomparsa di una componente fondamentale dell'(ex?) miracolo economico del nordest italico, ovvero di quella cultura del fare, dell'agire progettando che altrove è evaporata in aere teorico e ha generato un decennio (se non di più) pieno di svagatezza nel campo delle arti applicate e del design.

Di questo si discute stasera.

 

Molto utile e azzeccata la scelta dell'occasione in cui far incontrare diversi operatori del settore: la chiusura dei primi 2/3 delle residenze di Buziol per questo inizio di 2010.

In sintonia con un fremito di realtà che ha cominciato a scuotere il mondo dell'arte e della cultura nel 2009, anno fondamentale per siglare la divaricazione tra il mondo dorato degli "haves more" e degli "haves nothing at all" - tanto per citare Michael Moore - Enti e Istituzioni hanno cominciato a schierarsi in favore di una messa in rappresentazione della crisi, non per ricadute ideologiche preconcette, ma come conseguenza della semplice osservazione di una nazione in caduta libera/ di una compagine governativa onanisticamente impegnata ad autodifendere il Capo-capitale che, solo, ne giustifica l'esistenza/ di un mondo occidentale entrato nel gorgo di un cupio dissolvi economico terrorizzante.

La Fondazione Buziol, con le precedenti residenze (dicembre 2009), aveva prodotto progetti "utili" e sensibili, come il rilevatore di mine che tanto starebbe bene nell'HURT LOCKER dei sei Oscar di Kathryn Bigelow.

Dopo poco più di due mesi, prendere quattro post-studenti di design della Royal Academy di Londra, sottrarli al deserto di una manodopera (di lassù) ormai dissolta nelle acque del Thames, o, meglio, nei fragili diaframmati loft che vi si affacciano, riflesso iconico fortissimo di una brevissima era di gloria (blairismo?) e traghettarli per tre mesi nella terra dove l'artigianato non è ancora stato sepolto del tutto, ma solo ghettizzato, è segno geniale di questo nuovo ascolto della crisi, come quando i punk pre-thatcheriani si vestivano coi sacchi neri per l'immondizia e riempivano le strade di Albione.

L'Inghilterra - ce lo raccontano amici/ artisti/ blog - è a un passo dal collasso, come nel 1976, ma non c'è glue, collante socio-politico-ideologico nelle masse di giovani disincantati che osservano l'atrocity exhibition di un mondo che crolla. "All we got left is our creativity", affermano girando per Manchester, Leeds o Londra con il loro Mac bianco in mano.

Come osservano il grande designer Martino Gamper - suo il progetto "100 Chairs in 100 Days and its 100 Ways" basato sul riuso di sedie dismesse - e Cristiano Seganfreddo, se qualcuno si azzarda a cercare artigiani che realizzino le opere di questi neolaureati (poniamo: un cilindro arricchito di alcune complessità formali), trovano un vuoto assordante e devono arrangiarsi, come 30 anni fa, o emigrare.

Lo iato tra l'intraprendenza punk/vivienne-westwoodiana e l'attuale stato di attesa e stasi, però, è aumentato dalla cultura Mac-artist(ica)a che tutto crea e nulla realizza, almeno in prima battuta: puoi essere un genio del 3-D, ma non fare un passo oltre la meraviglia dei tuoi solidi rotanti e spostabili sul monitor se non trovi chi ti rilasci la patente per il mondo dell'oggettistica real(izzabil)e.

E questa, o almeno il foglio rosa, lo vieni a ritirare a Venezia, la Vituperata, perché nel silenzio delle calli, specie quelle meno frequentate, nonostante tutto, battono ancora costanti le ore di un tempo eterno: quello di un artigianato che, pur ridotto nella sua complessa articolazione, è in simbiosi indissolubile con una città pensata/ realizzata/ difesa con genio assoluto e sapienza pratica.

 

Opera di Lucia Massari

 

La presunta bidimensionalità rappresentativa del Canal Grande, che viene rappresentata e raddoppiata dalle cartoline (bidimensionali) spedite a migliaia o, come fa notare la stagista Lucia Massari, in uno dei progetti presentati a OPEN STUDIO, dai "doppi" disneyani delle Venezia di Las Vegas, Los Angeles, Istanbul etc, nasconde sotto pelle una triliticità resistentissima, che sta nei pali ficcati in profondità ad assicurare una stabilità millenaria non paragonabile alla misera precarietà sismica del resto del mondo.

Sì, dice Massari, l'onda della Venezia da vendere è uno tsunami letale, ma un luogo di luce e acqua cangianti (molto belle le sue t-shirt calibrate sui cromatismi della marea che muta) nasconde queste resistenzialità "in 3-D" che danno esiti "in 2-D" o che, almeno, così vengono lette dagli sciami di api turistiche.

"In 3-D" è il laboratorio di Massimo Lunardon (geniale artista del vetro, o di un terrazzista veneziano che interviene durante il dibattito. L'uno vicino Vicenza, l'altro a Venezia - come lo stesso Gamper a Trento - si sono formati a bottega, in lunghi anni di apprendistato tra paste e calore, materiali di recupero e legno. Vetraio/terrazzista/ falegname: ora insegnano ai designer in erba della Royal Academy, perché così deve essere.

 

Eppure, nonostante i j'accuse lanciati da Lunardon sul Nordest infestato di capannoni senza fondamenta/spessore (lui si è comprato una vecchia "fabbrica del latte", coi muri spessi e una storia secolare), le lamentele del terrazzista e la vicenda personale di Gamper -avendo lasciato il liceo per la bottega, dovette ripiegare su Vienna per vedersi riconosciuto un qualche titolo di studio - nessuno vuole smettere di dialogare con designer/ architetti, anche quelli incapaci di sporcarsi le mani.

Stasera sono qui, non a caso, di fronte a gente che ha quasi la metà dei loro anni e idee talvolta bizzarre, ma sono i primi ad ammettere che per loro è indispensabile lo scambio e il dialogo. La recessione successiva al boom degli anni '80, dicono, ha radici anche in questa sorta di autarchia tecnico-ideologica, che si è temporaneamente chiusa alle innovazioni e, ma solo in parte, alla cultura del 3-D. Occorre che ciascuno (progettista/attuatore) faccia un passo indietro e allo stesso tempo in avanti, per avvicinarsi all'altro, che gli è indispensabile.

Certe idee - come portare il terrazzo alla veneziana da terra ad assumere le volute di un vaso - non si possono realizzare, ma ciò non blocca il reciproco scambio.

 

Opera di Bethan Laura Wood

 

Guardate il sito di Lunardon: qui e là intuirete echi di Koons, opportunamente rielaborati e/o serializzati, com'è giusto che sia.

O pensate a Joseph Kosuth (!), che dopo anni di ricerche fallimentari, ora si affida a un'azienda di San Vendemiano per i suoi neon parlanti, che non lo costringe più a faticose trasferte, tanto la simbiosi tra realtà così antitetiche è diventata dialogante e fruttifera. O ai pianoforti Fazioli - gli unici graditi a Herbie Hancock - e alle lavanderie indispensabili alla stessa "Replay" buzioliana.

 

Prima di un'interessante post-prolusione di Cristiano Seganfreddo, direttore del tech-magazine "!", durante la quale le tematiche accennate vengono presentate in forma estesa e viene creato un link tra i lavori dei quattro artisti e le testimonianze di Gamper e Lunardon, vengono anche presentati i lavori di Merel Karhof, Bethan Laura Wood, Lucia Massari e Fabien Cappello, tutti selezionati da Gamper alla Royal Academy e trascinati in Buziol per questo trimestre finalizzato alla loro partecipazione al Salone del Mobile di Milano.

 

L'interazione tra i ragazzi e le ditte/ la manualità locali è ancora in fieri (manca un mese a Milano), ma i progetti sono chiari, interessanti e già ben definiti. Si spazia dai "confetti" - coriandoli - in pizzo della Wood, creati insieme a Lucia Costantini, alla bellissima tavola della Karhof, con le gradazioni di colore di acqua in uno stesso punto di canale fotografato in giorni diversi, sino al social design di Cappello che recupera la materia grezza del mattone e s'inventa un sistema-fontana in vetro, complesso e affascinante, perché a Venezia "le fontane non ci sono più " (meglio: spesso non funzionano).

 

Opera di Merel Karhofi

 

Straordinari, sempre della Karhof, sia la damigiana stilizzata con supporto variabile in legno che le "collane di salmastro" preservate in bolle di vetro (un vero capolavoro!) e, ancora in progress, un articolatissimo incastro di elementi fragili in vetro, a definire una specie di torre precaria della Wood.

 

POSTILLA

A noi sembra che, anche nelle declinazioni più "private" (residenza di Jennifer Walshe; progetto degli studenti-IUAV per "The Bard", che poi era un privato per il pubblico), l'attività di Fondazione Buziol, da circa un anno a questa parte, sia andata ben oltre l'ovvio sbocco "concreto" che è già nel proprio dna e, da "Parades" in poi, abbia cominciato a riflettere (verso di noi che la frequentiamo) immagini e meditazioni sulla possibilità di rendere il tracollo economico e la crisi un punto di partenza per  ragionare:

 

A) sul senso di Comunità cui dobbiamo tornare per non implodere culturalmente e socialmente;

B) sulla necessità di riempire di contenuti anche un paio di jeans (Jean Sawle!);

C) sul recupero della condivisione, della festa "utile", del divertimento creativo;

D) sulle arti applicate finalizzate al sociale e al politico;

E) sulla ripresa di dialogo tra il territorio e la gente e tra Industria e Artigianato, per tornare a salire sul treno del Nordest (anni '80);

F) sull'uso "pubblico" di uno strumento come la scrittura, a rischio di derive solipsistiche, che aiuti a re-cor-dare momenti (anche) di lotta, tornati improvvisamente e inaspettatamente attuali (Enrico Palandri; diversamente, Bettin).

 

Più in generale, Buziol ci porta a ragionare sulla necessità di trattenere in noi la lezione più profonda di ciò che vuol dire venezianità: amare e ascoltare le RADICI, il "cuore" di un qualunque Passato (anche l'altro ieri) e rigettare il tutto nel Futuro più ardito e complesso, sempre in nome della Condivisione.

Fosse anche scritto/a e disegnato/a con un bianchissimo, stiloso e lucido Mac di ultima generazione.

fondazione claudio buziol
 

VENice 2132, OPEN STudio

"Artigianato e Creatività" - OPEN TALK

Venezia, Fondazione Buziol, 19/03 2010