l'uomo che non c'era

 

di Simona PACE

 

INTRODUZIONE

 

Eludendo espressamente gli ormai stanchi canoni citazionisti e superficialmente autoreferenziali di tanto cinema post-moderno, i fratelli Coen, legati da un’instancabile osmosi intellettuale, dipingono un’irresistibile parabola concettuale attraverso la sapiente costruzione della Forma.
Film emblema della spasmodica ricerca coeniana dell’Astrazione (mai fine a se stessa, né mai presuntuosamente matrice di senso), L’uomo che non c’era si dispiega lentamente e impeccabilmente davanti allo sguardo dello spettatore sempre un pò “a parte”, continuamente coinvolto e interpellato, senza dubbio ammaliato dalla perfezione della patina e abbagliato dai bianchi che dominano la pellicola.
Ed è proprio la fascinazione immediata e volutamente relegata in superficie ad essere una costante del cinema Coen; un cinema che rifiuta il significato e si adagia sul significante giocando sul potere illusionistico del mezzo, utilizzato come pennello cubista, decretando il passaggio, come in Braque e Picasso, «dall’interpretazione di una realtà percepita otticamente alla creazione di una realtà concepita esteticamente» .
Difficile è dunque, così come sottolinea Franco Marineo in uno dei suoi saggi, tentare un’analisi esegetica ricercando coerenze oltre « il confine fisico dello spectare, oltre la necessaria autoconclusività dell’esercizio della visione» .
Le immagini: evidenze pellicolari la cui interpretazione è cancellata e al cui posto domina la sottile consapevolezza del vuoto, esistenziale e storico, ma reso concreto e visibilmente percepibile attraverso la struttura stessa della narrazione e della composizione fotografica.
Un’iperbole visiva descrive il viaggio attraverso un’esistenza, quella del barbiere protagonista silenzioso e paradossalmente quasi assente, mai stata tale, percepita a distanza.
“The more you look, the less you really know” (più si guarda, meno si apprende) recita l’avvocato Riedenshneider, incontrastabile personaggio del film, quasi a voler suggerire in funzione di destinatore vicario degli autori, riprendendo il principio di indeterminazione di Heisenberg, la chiave di lettura del film.
Ciò che vediamo allora è il senso stesso del film, in cui domina una costante distanza tra le cose rappresentate e la realtà che le ospita e un vorticoso coinvolgimento quasi warholiano per la superficie del discorso.
Indagando l’aspetto formale quindi, sia in termini di iconicità che di fotografia, rinvenendo determinati codici di fruizione, è possibile rintracciare quelle informazioni insite nella natura stessa dell’inquadratura e captare il percorso abilmente preorganizzato dai Coen, principiando dall’essenza coercitiva della composizione (...)

 

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