teatro alfieri I torino

duetto 2000

 

04-07/dicembre 2013

 

momix
alchemy
uno spettacolo di Moses Pendleton

di Vanessa MICHIELON

Collegamenti rapidi: SCHEDA

Alchimie a teatro: i quattro elementi primordiali secondo Moses Pendleton. Dopo aver presentato "reMIX" nel 2011, dal 4 all'8 dicembre i Momix sono tornati al Teatro Alfieri di Torino con una nuova creazione del fondatore Moses Pendleton.

Il coreografo americano, appassionato di sport e di illusioni teatrali, prosegue l'indagine sul mondo della natura iniziata con Opus Cactus e Bothanica con Alchemy, una celebrazione dei quattro elementi primordiali – terra, aria, acqua e fuoco - che evoca l'immaginario suggestivo della scienza alchemica.

Una delle fonti di ispirazione per lo sviluppo del lavoro sarebbe infatti rappresentata da un passo di ‘Rosa Alchemica’ di W. B. Yeats: «Scostai le tende e guardai fuori nel buio, e alla mia fantasia turbata tutti quei puntini di luce che riempivano il cielo parvero i fornelli di innumerevoli alchimisti divini, che lavorassero continuamente a trasformare il piombo in oro, la stanchezza in estasi, i corpi in anime, la tenebra in Dio; e di fronte alla loro opera perfetta avvertii il peso della mia condizione di mortale, e invocai a gran voce, come tanti altri sognatori e letterati di questa nostra età hanno invocato, la nascita di quella raffinata bellezza spirituale che sola potrebbe sollevare e rapire anime gravate di tanti sogni». 

Non racconto lineare, bensì flusso di suggestioni, lo spettacolo si inscrive nel mondo dell'intrattenimento leggero, in cui movimento sportivo, acrobatica e danza si fondono nei corpi atletici dei giovani performer, tra world music e sonorità pop .

Fattosi buio in sala, il sipario, sul quale si sono avvicendate proiezioni del volto di Dante e di lingue di fuoco, si apre su una scena sottomarina: tra colonne simili ad alghe si aggira lentamente una creatura acquatica. Giochi di luce dipingono riflessi sul palcoscenico, danzatori in lunghi abiti rossi attraversano lo spazio con corse sempre più rapide disegnando percorsi circolari. Così si apre il quadro dedicato al fuoco, in cui le colonne si trasformano in oggetti scenici versatili, lunghi tubi usati come didgeridoo, come prolungamenti delle braccia degli uomini per delimitare lo spazio d'azione di una danzatrice, come strutture mobili per generare effetti ottici geometrici.

In questa sezione la danza è energica: salti, movimenti rotatori sul posto che ricordano i dervisci, passi di capoeira, virtuosismi acrobatici, gesti sensuali si susseguono accompagnati dal crepitio delle fiamme.

Ai colori caldi e alla luce piena si sostituisce il buio del black theatre, forma illusionistica molto cara a Pendleton, che la impiega copiosamente in celebri lavori come Bothanica e Sun Flower Moon. I corpi vestiti di nero scompaiono nello spazio scenico per lasciare emergere solo i fasci di nervi fluorescenti dipinti sugli abiti, rivelati dalla luce UV. Queste creature appaiono sospese nel vuoto, dondolano e roteano supportate da strutture invisibili, attrezzi meccanici che ancora una volta rimarcano il legame con il mondo dello sport.

Se questo quadro affascina il pubblico per l'estetica delle immagini astratte, quello successivo emoziona offrendo un delicato passo a due avvolto da riflessi luminosi che ricordano la superficie increspata del mare. L'eterea presenza femminile, sospesa da cavi invisibili, volteggia senza peso sul partner in un susseguirsi di incontri e di addii che si conclude con l'arrivo in scena di altre danzatrici in bianco.

Seguono altri quadri che attingono al repertorio dei Momix: gli specchi quadruplicano i corpi in scena, i costumi scultorei si trasformano davanti agli occhi del pubblico per evocare immagini sempre diverse, lunghi cavi offrono supporto a tre danzatrici che scivolano sul palco e si slanciano verso la platea, proponendo andature impossibili ed evoluzioni di danza aerea.

Come in Sun Flower Moon, anche in Alchemy ritroviamo espedienti che rimandano all'opera di Alwin Nikolais: le gonne bianche ci ricordano Vaudeville of the Elements, i sacchi di tessuto elastico all'interno dei quali si muovono i corpi dei danzatori rappresentano tipiche icone di Noumenon Mobilus.

Come in Nikolais, l'alchimia che si vuole indagare è un'operazione di integrazione tra più ingredienti: coreografia, musiche, costumi, oggetti di scena, effetti di luce, proiezioni.

Sebbene il pubblico sembri apprezzare, l'impressione è tuttavia che in Alchemy si sia un po' perso il senso di incanto e di sorpresa che ci avevano regalato i lavori precedenti.  Considerato il panorama attuale dello spettacolo dal vivo, che ci sta ormai abituando a un livello qualitativo sempre più alto nelle discipline circensi e acrobatiche e nelle performance multimediali, ci aspetteremmo qualche rischio e innovazione in più da parte di Pendleton. I presupposti sarebbero ottimi, visto il valore del corpo di ballo, talvolta un po' impreciso ma gradevolissimo da osservare. I saluti finali sono infatti un trionfo di energia e una prova di abilità che fa tenere il fiato sospeso: strutture a ferro di cavallo oscillano sotto il peso dei danzatori, che eseguono acrobazie in cui la coordinazione e la collaborazione sono fondamentali per la riuscita dei numeri.

Forse la sensazione di déjà vù negli espedienti scenici in realtà dimostra un graduale cambiamento di interesse da parte di Pendleton, che in Alchemy potrebbe aver sospeso momentaneamente la ricerca sul linguaggio coreografico per indagare aspetti più emotivi, come il rapporto femminile/maschile, e lasciar emergere il carattere umano dei performer.

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teatro alfieri

stagione 2013