teatro vascello

le vie del festival

stagione teatrale 2012-2013

 

3-4 novembre 2012

 

guerra
di Lars Norèn
Regia di Marinella Anaclerio

di Azzurra SOTTOSANTI

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GUERRA è molto più che uno spettacolo teatrale: è un pugno allo stomaco.

Quello che innanzi tutto colpisce è la totale assenza di retorica; l’insistenza, quasi morbosa, sugli elementi scabrosi che connotano le vicende dei protagonisti, sull’orrore che caratterizza le loro vite.
Nulla è lasciato all’immaginazione: ogni colpa, ogni decisione, ogni azione è sviscerata fin nelle sue più recondite ragioni. Portata alla luce, là dove tutti possano vedere. Dove ognuno possa rendersi conto dell’inevitabile incombenza del male. Un male quanto mai lontano dalla concezione socratica di “ignoranza del bene”: un male a cui ci si abitua al punto tale da non riuscire a tornare indietro, all’ordine precostituito.
“Non sono mai stata così felice. Io ringrazio la guerra!” esclama una delle protagoniste - la madre - in un impeto d’amore nei confronti dell’amante.

Un dramma esistenziale, che porta con sé l’eco delle più note tragedie greche, da Edipo Re ed Elettra ad Orestea.
La guerra del titolo ha, beninteso, poco a che vedere con la guerra che si è combattuta sul fronte.
È la guerra dei giorni presenti e di quelli a venire, la quotidiana lotta per la sopravvivenza, per trovare il coraggio di continuare a vivere in un paese devastato e immobile. È “la guerra di tutti contro tutti”, quella dell'homo homini lupus.
I protagonisti della vicenda sono esempi di dead men walking sopravvissuti ad una guerra civile, ma condannati a vivere nell’abbrutimento, a portare per sempre i segni di ferite profonde e indelebili. Questo li rende, al tempo stesso e con la medesima violenza, vittime e carnefici. A cominciare dal marito, la cui cecità è
morale, prima che fisica: è la cecità inflitta ai personaggi da loro stessi.

Quello di GUERRA è un universo senza Dio, un universo senza il padre, anche quando il padre si ripresenta.

Anzi, è proprio il suo ripresentarsi ad innescare il dramma, a sconvolgere gli equilibri. Lungi dall’essere considerato un eroe, costui dev’essere fatto fuori, affinché si possa continuare a reggersi in piedi sul delicato filo della sopravvivenza.

Per dirla con Dostoevskij: “Non è forse il male nel mondo la migliore giustificazione per fare il male?”

In un contesto in cui proprio colui che avrebbe il diritto di giudicare non può vedere, l’abiezione morale può spingersi dove vuole.  Riecheggia, ancora una volta, una domanda di dostoevskiana memoria (non a caso I FRATELLI KARAMAZOV è l’opera portata in scena dalla Anaclerio prima di GUERRA):
Senza Dio e senza vita futura? Tutto è permesso dunque, tutto è lecito?”.

La risposta, in questo caso, non può che essere positiva.

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