Sprazzi di luce nei
silenzi di Cechov.
Una lettera immaginaria dipinta con colori accesi come il giallo, l’
arancione, il rosso di petali di rose che volano nell’aria. Assistiamo a
momenti raccolti, trattenuti, resi visibili dal bianco, come quello dei
vestiti da sposa indossati anche da uomini, e a momenti di nero, come
durante i silenzi meditativi. Cechov amava i silenzi, amava pensare,
meditare e la pesca era uno dei suoi rifugi preferiti. Pescava con l’antica
tecnica che utilizzava un campanellino (donka, in russo). Il suo amore per
la pesca ritorna quando alcuni nastri formano semicerchi e campanelli
risuonano quasi fossero in fondo al mare.
Momenti di suspence nel vedere acrobate che dondolano su un trapezio,
fingendosi bimbe impacciate su una grande altalena e attimi di allegria
quando clown rendono semiseri anche temi come quello della malattia che pian
piano spense Cechov. Un continuo susseguirsi di immagini giganti e movimenti
fluidi, danze sospese su tessuti aerei e cerchi in rotazione continua,
pattini che scivolano su lastre di ghiaccio troppo sottili, da un momento
all’altro in procinto di frantumarsi in mille pezzi. Cechov amava pattinare,
recita un clown con voce pacata. Segue un’eco: “Voleva raggiungere la
vita... ma com’è possibile se la vita l’ha già raggiunta?”. D’improvviso si
materializza, in scena, la magia del vedere il ghiaccio che si spacca, cade
dall’alto e viene lanciato dagli attori.
Letti di ospedale corrono veloci sul palcoscenico come in un sogno. Echi di
storie d’infanzia risuonano nel teatro, le stesse che scriveva Cechov.
“La cercavano ovunque la sua anima”, recita un clown con addosso un vestito
di taglia troppo grande. “Probabilmente si nascondeva nelle scarpe”, dice
indicando degli scarponi giganti. Quelli che Cechov utilizzava per
viaggiare.
A rendere l’atmosfera ancor più onirica, ecco la fisarmonica e gli altri
strumenti suonati da Andrée- Anne Gingras-Roy.
Non è la trasposizione di un libro o di un’opera, tantomeno la descrizione
della sua vita, ma un accurato studio dei dettagli della vita di un uomo
dall’animo semplice e tuttavia infinito , raccolti tra le righe dei suoi
scritti oppure inventati, immaginati, lasciando al pubblico l’illusione che
certe cose siano accadute realmente.
“Senza luce quest’ospedale è silenzio, senza luce questo teatro è silenzio”.
D’un tratto…il silenzio.
Questa lettera è stata dipinta da Daniele Finzi Pasca, in occasione del 150°
anniversario della nascita del grande drammaturgo.
Finzi Pasca, autore di “Icaro e Nebbia”, crea la compagnia-teatro “Sunil”
grazie alla quale elabora, insieme a Maria Bonizago e al fratello Marco, il
Teatro della Carezza, una nuova tecnica caratterizzata da clownwria, danza,
magia e da tutti gli elementi che caratterizzano con chiarezza la
messinscena di “Donka”. È proprio quella la sensazione che trasmette il
regista: una “carezza” indirizzata al pubblico. Il regista è stato in grado
di far emergere comunque la qualità di scrittura dell’ autore e di convocare
lo stesso Cechov quasi si trattasse di un vero e proprio personaggio,
nonostante la bravura degli interpreti potesse in qualche modo tenere in
secondo piano la forza del testo. |