BVE07

Biennale di Venezia
Venezia 09/07/07

di Gabriele Francioni

 

Nel percorso variegato e difforme dei Giardini della Biennale di Venezia, paragonabile ad un flusso ininterrotto di emozioni percettive vissuto intimamente da chi si trova a visitare quei luoghi, due momenti in particolare hanno costituito degli intensi spunti di riflessione che vorrei(provo a) coniugare in un’unica analisi. Si tratta del Padiglione Americano, dedicato all’artista recentemente scomparso Felix Gonzales Torres, luogo che appare incantato, avvolto quasi da un’aura di sacralità, nel quale tutto sembra vivere del proprio equilibrio immobile, ma che al tempo stesso si rivela animato, capace tuttavia di creare un intenso coinvolgimento dei sensi. Situato in una dimensione apparentemente lontana dal Padiglione Americano, ma in verità più vicina di quanto possa apparire ad un primo sguardo critico, il Padiglione Francese che sfoggia un’opera significativa della poetica di Sophie Calle. Forse non del tutto comuni i riferimenti che stanno a fondamento dei loro lavori, ma simile l’intento di fondo: quello di creare un’Arte che si rapporti, pure criticamente, all’esistente, a ciò che cade sotto la nostra esperienza. Di forte impatto, a mio avviso, la frase che tradotta dal francese suona come “prendetevi cura di voi”, la quale con grande evidenza e forza comunicativa troviamo trascritta sulla parete esterna del Padiglione Francese. Essa sembra costituire l’incipit di una storia narrata da Sophie Calle, che sotto forma di messaggio, di simbolica chiave di lettura della sua operazione artistica, vuole coinvolgere il pubblico fruitore, colpendo la sua sensibilità e al tempo stesso chiamandolo a partecipare di un’esperienza estetica davvero unica. In questo modo l’artista, partendo dall’investigazione di uno spunto autobiografico, di un tema tratto dalla quotidianità, dimostra la sua capacità di elevarlo a fatto artistico, mettendo in atto una consapevole ricerca estetica, attraverso l’impiego di svariati quanto originali linguaggi espressivi posti in un costante dialogo creativo. Avvolti in uno spazio raccolto ed uniforme che assume quasi l’aspetto di una “proiezione della mente”, ci troviamo di fronte la reale esperienza di vita di Sophie Calle condivisa con 107 donne da lei accuratamente scelte, per dare luogo al suo personale discorso, alla sua ricerca artistica volta ad una pregnante e complessa comunicazione visiva di contenuti. Si assiste, dunque, ad una condivisione di spunti autobiografici i quali vengono superbamente trasfigurati da un’operazione artistica e simbolica, risultando non per questo meno accessibili e vicini a quello che può definirsi il nostro immaginario collettivo; proprio in ragione di ciò, ritengo questo sia il luogo per eccellenza votato all’incontro, allo scambio (reciproco) di idee e di riflessioni. Lo stesso si può dire dello spazio che Felix Gonzales Torres ha voluto creare nel Padiglione Americano, anche se potrebbe, a prima vista, apparire diverso, totalmente discordante e antitetico a quello di Sophie Calle nel Padiglione Francese. Mi riferisco ad un luogo che esplicita un poderoso equilibrio interno insieme ad un carattere riflessivo, espressione della personale visione del mondo dell’artista, ma dove è impossibile non avvertire la presenza caratterizzante di Torres che vive in una perfetta simbiosi col suo lavoro. Attraverso la sua arte, la quale vive degli spazi che noi stessi ci troviamo a condividere, Felix Gonzales Torres, esprime la sua salda volontà di esserci e di instaurare un contatto fecondo con lo spettatore che la fruisce, il quale entra dinamicamente a far parte dell’opera: esempio illuminante è costituito dall’istallazione del grande rettangolo fatto di caramelle, che il pubblico è invitato a cogliere. Quindi il partecipare quasi attivamente della sua arte “relazionale” e degli spazi che la accolgono, può considerarsi il leitmotiv dell’intero padiglione ed uno dei caratteri distintivi della ricerca estetica di Torres la quale sembra finalizzata ad simbolico dialogo tra le parti, lui ed il suo pubblico. Ci troviamo dunque di fronte un’idea di “correalismo”, lo stesso teorizzato da F. Kiesler, secondo cui l’opera d’arte vive in correlazione con il suo pubblico che ne viene incluso ed attivato a sua volta. In questo trovo ci sia una reale vicinanza di intenti con l’opera di Sophie Calle. Si starà dunque assistendo ad un avvicinamento dell’arte alla dimensione e alla sensibilità di chi la fruisce?

 

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Venezia 09/07/07