Shibboleth, Doris Salcedo
Tate Modern Turbine Hall
London 02/11/07

di Aliyah Hussain

 

“Shibboleth” della colombiana Doris Salcedo è l’ultimo di una serie di eventi organizzati all’interno dello spazio iconico della “turbine hall” alla Tate Modern londinese, dopo nomi come Louise Bourgis, Bruce Nauman e Anish Kapoor.
In questo caso ci si è avvalsi della sponsorizzazione della “Unliver Company”.


è la prima volta che un artista interviene direttamente sul “corpo materico” della Tate, lavorando sulla “deformazione” del piano di camminamento e della pavimentazione della Hall. Una volta entrati, il primo approccio visivo non rivela nulla di simile agli enormi art-works mozzafiato (soprattutto gigantesche sculture) che vengono solitamente esposti. Lo sguardo punta, infatti, verso le grandi altezze dello spazio espositivo, senza peraltro trovare alcun punto di riferimento: è il vuoto.
Breve, sottile disappunto. Procediamo lungo la hall, fino al punto in cui una frattura comincia a rompere la continuità del pavimento.
Seguiamo il progressivo divaricarsi dei lembi della frattura: ci è chiaro, ora, che il piano di camminamento è stato spaccato, sino a produrre un solco di notevole larghezza.
Mentre alcuni ragazzini esplorano la grande fessura, il lavoro della Salcedo, per quanto prevedibilmente, ci porta a ragionare sui disastri naturali prodotti dal riscaldamento globale del pianeta, ai cretti spontanei nelle zone sempre più inaridite.
Potremmo anche dire, a mo’ di commento, che persino l’intoccabile grandezza iconica dei luoghi d’arte come la Tate Gallery ci appare, ora, non esente da tali rischi.

Restiamo peraltro interdetti quando la grande frattura va a morire appena raggiunto il muro che delimita il lato corto della Tate.
è vero che, riflettendoci, non avremmo saputo proporre alternative a quella conclusione, anche se continua a sembrarci illogica, date le premesse.
L’insieme, dopotutto, è impressionante e fa persino sorridere l’idea dell’enorme lavoro svolto per produrre quel solco: sono forse impazziti alla Tate?

Dopo aver letto le note informative su quest’opera della Salcedo e l’uso del termine “Shibboleth” nel senso comune, sia come singolo termine, sia come linguaggio di appartenenza a specifici gruppi o classi sociali, ci sembra di cogliere maggiormente il senso del tutto, ora decisamente più impressionante.
Ripensiamo, in tal senso, ai torti subiti da chi cercava riscatto e vendetta uscendo da quei luoghi.
Fuori da ogni pedanteria o consequenzialità logica, però, non convince l’uso di cemento e rete metallica per modellare l’interno del “taglio”: lo si sarebbe dovuto lasciare allo stato “grezzo”, decisamente più autentico.
Comunque l’artista è riuscita a farci confrontare con le scomode verità e antiche eredità che sono alla base di ogni razzismo condiviso e colonialismo di sorta.
Eredità che fa da “base instabile” alla nostra cultura, così ben tradotta nell’atto artistico della Salcedo: una frattura netta nella “modernità”rappresentata spaccando in due il terreno sotto di noi.

è chiaro che “Shibboleth” pone molti interrogativi sull’interazione tra scultura e spazio espositivo e ha definitivamente cambiato la percezione dell’architettura e della struttura complessiva della Turbine Hall: prima si entrava e si guardava subito all’insù.
C’è un forte iato tra questa opera e le gigantesche sculture normalmente accolte in tale spazio espositivo, spesso semplicemente messo a disposizione dell’“ego” dell’artista che espone.
Nonostante ciò, pensiamo che non ci sia niente di male nell’essere attratti e catturati dalle sempre più sconvolgenti, altissime sculture della Tate e per quanto la Salcedo abbia toccato punti interessantissimi col suo lavoro, anche grazie al supporto scritto, avremmo preferito una “convenzionale” scultura tipica della Tate.

 

TATE GALLERY

Shibboleth, Doris Salcedo
Tate Modern Turbine Hall
London 02/11/07