Fratelli Quay e Yan  Svankmajer

l'alchimia nell'animazione

 

di Stefania ROTA

I fratelli Quay Quando si guarda un film dei fratelli Quay per la prima volta è difficile non provare un senso di disagio. Il loro mondo svelato riempie lo schermo di tensione e nessuno è in grado di sfuggirvi.

La gravità dei film dei fratelli Quay suggerisce l'impressione che quanto rappresentato sia solo una parte di qualcosa di più profondo. Forse perché sono maestri nell'arte di rendere ogni cosa confusa, usando lenti macro e mettendo a fuoco solo una parte dell'inquadratura lasciando nascosto gran parte del resto. È l'impressione che ci sia qualcos'altro, oltre che al semplice uso di tecnica eccellente, che ci fa venir voglia di rivedere i loro film.

Stephen e Timothy nacquero, gemelli omozigoti, a Norristown, Pennsylvania nel 1947 a da allora hanno sempre lavorato assieme. Studiarono presso il Philadelphia Collage of Art nella cui biblioteca, guardando una raccolta di poster polacchi dall'”immaginario kafkiano”, ebbero il loro primo contatto con ciò che li avrebbe ispirati in futuro.

Nei primi anni Settanta giunsero a Londra per conseguire un diploma in illustrazione al Royal Collage of Art ma, in seguito ad un'abortita esperienza registica intorno al 1969, finirono a giare i loro primi film di animazione: Der Loop Der Loop, Il Duetto e Palais en Flammes. Ma i loro disegni esigevano di più, così i Quay si diressero naturalmente verso il passo successivo spinti dalla frustrazione dell'immobilità dell'immagine, dalla mancanza di suoni, di profondità, di musica. Ciò che ricercavano era la terza dimensione. Il loro primo film dopo il Royal Collage of Art, Nocturna Artificialia, venne prodotto dal British Film Institute nel 1979. L'anno seguente avrebbero fondato, assieme a un loro compagno del  Royal Collage of Art, Keith Griffiths, l'Atelier Koninck (nome preso in prestito da una marca di birra olandese che li aveva colpiti per la simmetria delle lettere e per la grafia dell'etichetta) che diventerà la casa madre per un gruppo di collaboratori fissi come Larry Sider (il loro montatore del suono), Oliver Gillon o del compositore polacco Lech Jankowski.

Guardare,  o per meglio dire entrare nella notte impossibile e stregata di un film dei fratelli Quay, equivale a diventare complici di uno dei più perversi e ossessivi atti cinematografici. La loro inclinazione è quella di increspare le acque del subconscio che fluiscono sotto la superficie della nostra esperienza collettiva. L'immersione nelle loro cadenze ctonie, nel loro solenne senso delle vite nascoste nella polvere, delle ombre e dei giocattoli rotti, equivale a scorgere l'infinito nel finito, lo spirito nella macchina. Molto viene creato dalle loro scelte evocative all'interno dell'immaginario tematico- garze onnipresenti, ali d'insetti, viti arrugginite, tessuti logori, bambole ammuffite, caratteri tipografici antiquati, una bottega veramente curiosa in cui gli spaghi si intrecciano da se, orologi di carne, cavi isolati, ritagli di famiglia di un passato sepolto.

Ma altrettanto vitale ai misteri spettrali dei film dei Quay è anche la loro versatile mise-en-scéne, che si mette subito a confronto con l'impossibilità spaziale insita nei confini del cinema di animazione, piuttosto che superarla. L'uso che fanno della macchina da presa  concorre a creare questa loro poetica onirica. Giustapposizioni di dolly lenti (spesso attorno a figure in azione) con rapidi movimenti improvvisi che sforzano la visione, o ancora, il punto di vista  in movimento attraverso il suo universo in miniatura, come fosse l'occhio di un gatto che ascolta lo scricchiolio al livello del pavimento e che finisce spesso per focalizzarsi su un minuscolo dettaglio di movimento casuale ripreso con una minima profondità di campo. Il “soggetto” del film condivide il suo movimento vitale, fotogramma per fotogramma, con l'”oggetto” e cioè la stessa macchina da presa che i Quay considerano come il primo dei loro burattini, il cosiddetto “motivator”. Le lenti, usate come mezzo scenografico stesso, creano un filtro tra l'immaginario e il reale che sta al di fuori dello schermo attraverso un sottile strato di polvere, depositato nell'onirico disordine del loro atelier. Questo dialogo tra spazio esterno ed interno è un altro degli elementi appartenenti alla poetica dei due fratelli. Ai loro personaggi assegnano sempre un universo chiuso, fuori dallo spazio e dal tempo e vagamente collegato con l'esterno. Questo mondo ha le sue regole e una particolare coerenza sulla quale un equilibrio apparente sembra sempre sul punto di infrangersi. L'esterno si manifesta fornendo l'elemento che darà la struttura alla storia.Gli abitanti sembrano tragicamente imprigionati nei loro spazi, sia perché non sono abbastanza forti per realizzare i loro sogni- o perché  non possono sfuggire ai loro limiti fisici o perché non sono sufficientemente autonomi per contrastare il destino-, sia perché in realtà vivono nel sogno di qualcun'altra.

I personaggi a tre dimensioni utilizzati nei loro film contribuiscono in maniera perfetta ad enfatizzare questa sensazione di soffocamento. Ecco che lo scenario dunque si riempie di marionette, oggetti inanimati (palle che rimbalzano da sole, linee che si estendono attraverso lo spazio, viti che si svitano dal pavimento..), bambole composite nate come una sorta di collage di “rottami” che i fratelli collezionano nel loro Atelier.

Chiaro è anche il loro interesse nei confronti della maschera intesa come camuffamento, dissimulazione, spostamento, inaccessibilità. Ogni oggetto inerte è ambiguo e il set, la scenografia stessa fa parte della maschera.

Il suo sviluppo è in realtà il compimento di uno dei personaggi principali. è da essa che partono raccogliendo idee letterarie, immagini da dipinti, brani di partiture, movimenti di danza..

Ciascuno di questi elementi contribuiscono a creare la struttura mentale da cui iniziano a lavorare. I Quay descrivo questa fase come un processo di gestazione dal quale nascono imbarcazioni poetiche dove fluttuano idee verso e quali l'immaginazione dello spettatore si può dirigere. Dunque i loro lavori nascono da alchimie di idee e non esiste una vera e propria sceneggiatura, tanto meno uno storyboard. Le scene vengono girate in maniera sincronica, affidandosi alla casualità che crea una sorta di vuoto in cui è possibile inserirsi. Come se invece che girare un film, stessero mettendo in scena una piece teatrale dotata perciò dell'intensità dell'istante e dalla possibilità di errore che può trasmutarsi in nuova scoperta. Una danza che non segue un copione prestabilito ma si abbandona al potere catartico della musica. Per loro ogni nota è una linfa vitale e come ogni coreografo compongono la loro narrazione visuale a partire da essa. I Quay parlano della musica come qualcosa di estremamente importante, di formativo nelle loro vite. Il loro pensiero per quanto riguarda il movimento e il ritmo, sia nelle riprese che al montaggio, è esplicitato in termini di struttura sinfonica o di sequenza coreografica. Nella maggiori parte dei loro lavori di animazione, la musica domina la colonna sonora e molte delle parole che vi appaiono non sono pronunciate ma scritte sullo schermo. Lo stesso uso della lingua parlata viene concepita più come strumento per comunicare concetti, una musica essa stessa che mescola accenti e cadenze soprattutto dell'Europa dell'est che tanto influenza le loro opere.

 

L' interesse per una cultura differente da quella americana è stato sicuramente l'elemento fondamentale per lo sviluppo del loro stile. Cresciuti in una cultura dominata dall'estetica disneyana in cui si sento stretti è l'incontro con Kafka, Starewicz, Borowczyk e Lenica a determinare la svolta. Per poi approdare alla volta del cinema muto e del teatro di marionette di Bruxelles, in Stravinskij, Debussy, Ravel, Satie, il quattrocento, la scuola  senese, le icone, il barocco, la Praga di Rodolfo II, Balthus, Dalì, Fragonard, Esher, Punch e Judy, Spillaert,  Michel de Ghelderode, Janàcek, l'epopea di Gilgamesh, Bruno Schulz, Robert Walser formando una personale Biblioteca di Babele da cui attingono per espandere il loro immaginario creativo. In particolare il loro lavoro può dirsi influenzato da  Jan Švankmajer che conobbero nel corso della lavorazione di un tributo a lui dedicato da Channel 4. Le sue opere giunsero come sostegno ai loro progetti nei confronti dell'animazione e dell'uso delle marionette.

 

Opere

 

Little Song of the Chief Officer of Hunar Louse, or Hunar Louse, or This Unnameable Little Broom (Being a Largely Disguised Reduction of the Epic of Gilgamesh) Tableu II (1984)

Gilgamesh si aggira a bordo di un triciclo in una specie di scatola nella quale compaiono strani personaggi dalle fattezze di insetti ed un organo palpitante che assomiglia ad una vagina. È prigioniero e non può uscirne: è condannato a rimanervi dentro. Quindi l'esterno si manifesta attraverso l'Uomo Uccello, che può volare e non è confinato nei limiti di quel mondo. Non desiderando null'altro che la sua abilità nel volare, l'ossessione di Gilghamesh è catturare quell'esempio vivente del mondo esterno. Tuttavia, più che provare invidia per l'Uomo Uccello in sé, Gilgamesh invidia la sua Libertà e il suo Corpo e finisce per tagliargli le ali. Ma ciò non basta a renderlo libero, cosi Gilgamesh rimane prigioniero. Questo doveva essere il primo episodio di una trilogia dedicata al poema mesopotamico “Gilgamesh”. In realtà il film, che descrive le gesta di Enkidu e Gilgamesh, rimane la sola testimonianza di quel progetto.

 

Street of Crocodiles (1985)

Lavoro ispirato a “Le botteghe color cannella” di Bruno Schulz. All'interno di un teatro, un uomo osserva, attraverso un kinetoscopio, la mappa di “Via dei coccodrilli”. Come in un incubo onirico si assiste al soffio della vita che colpisce i personaggi schulziani in una trasfigurata città che sembra la Drohobycz decadente e polverosa descritta dallo scrittore.  Il personaggio principale riceve la vita da un elemento esterno: il custode di un vecchio teatro che, con un grumo di saliva, mette in funzione uno di quei dispositivi ottici degli albori del cinema. Tutto ha luogo all'interno di un fatale meccanismo e, a dispetto di tutto, il protagonista si sforza di girovagare intorno e di mettersi in relazione con gli altri personaggi (cosa poco comune nei film dei Quay dal momento che i suoi personaggi sono sempre soli); non appena si esaurisce la carica, l'intero posto comincia a svanire, così come svanisce anche il personaggio. Il meccanismo si ferma, si chiude con i suoi personaggi e il film ci riporta all'inizio: al di fuori della “Via dei Coccodrilli”. Fino al prossimo soffio di vita.

 

The Comb (1990)

Una donna dorme nel suo letto mentre una bambola butterata si muove all'interno di un labirinto foresta senza cielo, color rosso-uterino che ricorda i dipinti di Bosch. La bambola tenta di salire nella stanza con una scala attraverso un buco, sorvegliato da una figura dalle dita contratte.  Quando la donna si sveglia, la scala crolla portando con sé il bambolotto. Dopo essersi alzata dal letto, la donna inizia a pettinare i suoi lunghi capelli e si congeda con un sorriso enigmatico.

 

Stille Nacht

Stille Nacht è una serie di quattro video musicali. Qui ne verranno presi in esame solamente due.

 

Stille Nacht II (1991) (Are We Still Married?)

è un video scherzoso per il pezzo “Are We Still Married” dei His Name Is Alive, un gruppo pop inglese le cui funeree melodie sembrano rime infantili incise su vinile deformato. Nel video una pallina da ping-pong da vita ad una serie di crature che sembrano arrivare da  “Alice nel paese delle meraviglie”. Il coniglio e un'Alice dai calzini di lana a righe che tiene in mano una racchetta da ping-pong a forma di ex-voto con impressa l'immagine del Sacro Cuore, si muovono a ritmo di musica.

 

Stille Nacht IV (1993) (Can't Go Wrong Without You)

Un altro video per il gruppo “Are We Still Married” ed uno dei pezzi più perturbanti nella produzione dei Quay. Una bizzarra suite primaverile con l'ingegnoso coniglio impagliato di Stille Nacht II che combatte contro le forze del male per il possesso di un uovo.

 

The Cabinet of Jan Svankmajer (1984)

Questo lavoro non è solo una dedica a  Švankmajer ma anche al surrealismo cèco che deve la sua eredità alla Praga di Rodolfo II. Attraverso una serie di brevi capitoli, essi ne analizzano alcune caratteristiche.  Švankmajer è visto come un pupazzo dalla testa a forma di libro che dispensa a sua conoscenza ad un giovane allievo,anch'esso un pupazzo, che apre letteralmente al sapere del maestro e nel quale i Quay raffigurano se stessi, con una grafica che da Arcimboldo arriva al surrealismo di Escher.

 

 

Svankmajer Nato a Praga il 4 settembre del 1934 da un vetrinista e una sarta, studia alla scuola superiore di arti applicate e all’Accademia delle arti musicali. Questi studi lo predispongono ad un lavoro creativo vero e proprio. Pur i suoi lavori siano largamente sconosciuti nel mondo occidentale, Jan Švankmajer è uno dei più importanti registi della storia della cinematografia cecoslovacca. A partire dalla metà degli anni Sessanta, Švankmajer ha messo l'arte cinematografica al servizio del proprio genio surrealista, tanto da essere anche definito come "la somma di Walt Disney e Luis Bunuel".

L’opera di Švankmajer è assai variegata da un punto di vista stilistico e formale dimostrando una vastissima ricchezza di idee. La sua versatililà creativa rasenta il geniale ed esula dai confini del cinema. L’autore è dedito alle arti figurative e alla letteratura, le sperimentazioni lo portano sul filone delle poesie tattili e la ricerca teorica è legata soprattutto all’indagine del fenomeno del tatto e  dell’immaginazione. I suoi film sono in genere realizzati mescolando tecniche diverse, dalle animazioni a passo uno all'uso di marionette (tema che abbraccia la tradizione del suo paese), dai disegni animati ai montaggi astratti. Švankmajer è infatti molto più che un semplice regista: coi suoi film non vuole raccontare una storia, ma infondere vita agli oggetti di uso comune; vuole trasportarci in un mondo magico in cui niente è inanimato, facendoci così dubitare della realtà stessa. Le sue pellicole sono ricche di simboli, e attraverso la lente del suo obiettivo oggetti banali come coltelli, sedie e sassi diventano metafore di emozioni e idee. Pur essendo considerato un regista di animazione, Švankmajer ha sempre operato anche in altri campi artistici: nato nel teatro, è stato pittore, scultore e grafico, spesso mescolando tra loro arti diverse e sperimentando anche l'Arte Tattile insieme con la moglie Eva, pittrice surrealista a sua volta.

In generale, le sue opere riguardano l'Uomo e il suo mondo, per questo i suoi film non possono essere semplici lavori di animazione ma devono essere mescolanze di tecniche diverse. Nel cinema ha infatti saputo sfruttare bene le tecniche narrative care a registi dell'avanguardia sovietica come Ejzenstejn e Dziga Vertov. Il risultato sono pellicole intense, che ci appaiono scioccanti anche perché molto lontane dai film cui noi occidentali siamo abituati.

Per quanto riguarda i suoi argomenti preferiti vediamo il tema dell'inconscio e dell'infanzia. L’infanzia intesa dal punto di vista dei surrealisti: non è il periodo dell'innocenza ma piuttosto quello in cui le nostre paure iniziano a prender forma. I film di Švankmajer hanno tutti una forte valenza politica e ideologica, anche se spesso ad un livello estremamente simbolico. Ma è questo simbolismo stesso che li rende universali, senza tempo. I film di Svankmajer  trasmettono una visione politica sottile ma ben riconoscibile, eppure sempre capaci di parlare ad un pubblico universale,  senza alcuna pretesa artistico-intellettuale (d'altra parte il surrealismo non è una forma artistica, ma uno stile con cui esprimere Amore, Libertà e Poesia).

 

Svankmajer e il surrealismo Se nella concezione degli storici dell'Arte occidentali il Surrealismo è ritenuto un movimento artistico sviluppatosi in particolar modo negli anni a cavallo delle due Guerre Mondiali, per Švankmajer non è una questione estetica ma una vera e propria filosofia, ancora perfettamente attuale. I surrealisti cecoslovacchi sono ossessionati dalla sessualità, dalla politica, dalle convenzioni sociali (tutte cose che Švankmajer ha affrontato più volte, nei suoi lavori). La poetica di Švankmajer è pienamente surrealista, intesa da lui come esperimento dell’arte. La ricerca artistica porta alla scoperta di forma nuove e di nuovo linguaggio espressivo. Švankmajer stesso su questo argomento dice: “la sperimentazione surrealista si deve ricercare nelle vie di accesso ai tesori dell’inconscio avendo molto più in comune con il contenuto che non con la forma espressiva. La sperimentazione surrealista non è un fine in quanto tale, bensì un mezzo. Un mezzo di liberazione. E il fatto che su questa via il surrealismo abbia trovato forme nuove  e un linguaggio nuovo è solo un fatto secondario.”

 

Lopera di Svankmajer La ricchezza dell’opera di SvankMajer, assai variegata da un punto di vista stilistico e formale, rivela in se una coerenza stilistica e formale in tutta l’evoluzione delle sue creazioni. Egli fin dal primo film non si presenta solo come un regista e come grande animatore ma paradossalmente, come ha notato Dunant, come il grande immobilizzatore che è l’alter ego dell’Animatore. Egli riesce a circoscrivere e distinguere l’immagine per renderla libera. Svankmajer non utilizza l'animazione per l'animazione ma la pone al servizio della sua causa. Nei suoi film Svankmajer mostra sempre la sua personale visione del mondo in cui il comico è unito alla raccapricciante in cui le cose accadono per dirla con Nietzsche , al di là del bene dal male. Una visione del mondo in cui il quotidiano diventa oscuro, il fantastico reale, il triviale nobile ed artistico grottesco. Le frontiere degli opposti non sono mai assolute ma vengono ripetutamente messe in dubbio. La sua opera si può suddividere in diversi ambiti in cui si sviluppano, si strutturano progressivamente e in modo sempre più ricco i singoli temi e i suoi momenti espressivi. Non è nostra intenzione trattare tutto l’operato di questo grandissimo regista, piuttosto vorremmo concentrarci su alcune sue opere che ci consentono di delineare la sua personalità e la sua capacità espressiva  in particolare quegli aspetti che vengono direttamente o indirettamente ripresi dai fratelli Quay.

 

Possibilità di dialogo(1982)

Un' opera di un'immaginazione estremamente critica, è davvero un capolavoro sugli aspetti delle possibilità nel mondo attuale. Il film è composto da tre dialoghi che possono essere considerati un monumento dell'incomprensione. Nel primo episodio siamo testimoni del fitto parlare fra tre teste, composte una da frutta e verdura, un'altra da utensili di cucina e l'ultima di libri scolastici. Tutti questi oggetti progressivamente si trasformano in frammenti infine in residui e rifiuti, via via che le teste si divorano a vicenda.
Sempre più trafelate, roche e incolori, le teste continuano a scambiarsi reciprocamente i rifiuti fino a diventare dapprima tutte ugualmente grigie per trasformarsi poi in teste di argilla quasi umane e praticamente identiche.
Nel secondo episodio viene ripresa l'esperienza con l'animazione dell'argilla della
Caduta della casa di Usher e la contemporanea attività di ricerca tattile sulle possibilità di riprodurre con l'argilla la gestualità portando l'autore a scegliere proprio questo materiale per l'animazione del film.

Le convulsioni del fango sono un'analogia delle emozioni umane. La passione segna direttamente i corpi realizzati in modo estremamente realistico, come un'eruzione cutanea. Le figure dell'uomo della donna si lacerano d'amore a vicenda e "diventano un corpo solo". Le espressioni verbali tradizionali non soltanto vengono visualizzate, ma assumono una vera e propria consistenza materiale. L'argilla e davvero una materia viva e il regista-animatore diventa un demiurgo..
L'amore e la tenerezza, come anche il desiderio amoroso, si trasformano alla fine in odio reciproco, che viene manifestato sia mimicamente che con la gestualità. Alla fine del dialogo i due protagonisti si lacerano quasi come era avvenuto in precedenza al culmine dell'unione sessuale.

Nel terzo episodio ormai sappiamo che i dialoghi, anche se presentati in modi diversi, si svilupperanno e termineranno allo stesso modo, trascinati da un'aggressività crescente che trionfa e lascia dietro di sé il vuoto.
Nella fase introduttiva da una delle teste fuoriescono degli  oggetti mentre l'altra reagisce con oggetti reciprocamente correlati: il dentifricio si spreme sullo spazzolino da denti, la matita e il temperino effettuano la loro consueta attività, il coltello, il pane burro seguono la loro funzione tradizionale e lo stesso vale anche per la scarpa e il laccio subito dopo la prima serie di dialoghi si arriva però intenzionalmente a una comunicazione disturbata.

 

Historia Naturae (1967)

Dedicato all'imperatore Rodolfo II, è il principio del collage. Le illustrazioni degli antichi atlanti di storia naturale, gli scheletri tridimensionali e gli animali impagliati sfilano con un ritmo delirante (regolato però da precisi meccanismi nascosti) sicché contemporaneamente ad un collage in movimento, veniamo messi davanti ad una sorta di animato laboratorio manieristico delle specie animali.

Il film è strutturato in più episodi, che mostrano “l'evoluzione della specie” e hanno sempre come titolo il nome latino che corrisponde alle specie in questione e come sottotitolo il nome di una stanza sempre diversa. Il minuetto si alterna al tango, gli uccelli ai pesci e agli anfibi, esattamente secondo il modello di Darwin. L'espressività di  Švankmajer, già evidente nella sua ossessione per la marionette per il concetto di distruzione-morte, è palese anche in quest'elaborazione delle danze della vita, che terminano sempre con il seppellimento degli animali nelle viscere dell'uomo. La musica di Zdenek Liska, leggermente dissonante, li accompagna fino a una mandibola che li mastica e li inghiotte, coronando così la sua vittoria. Quest'azione produce un suono che ricorda quello della chiusura del coperchio di una bara.

 

Nèco z Alenky (1987)

Nel 1987 Švankmajer gira il suo primo lungometraggio che peraltro è anche un film sulla libertà: Alice, nella versione originale Nèco z Alenky (qualcosa di Alice). Il film è una libera rielaborazione del motivo di Alice nel paese delle meraviglie di Carroll.  Alice è circondata da una fantasmagorie di cose create e animate con una nuova capacità inventiva. Ad esempio il bruco è un calzino che fa sbattere la dentiera, il Coniglio perde segatura da un buco,  gli animali si tramutano in ibridi mostri. Švankmajer ha spostato in modo netto l'infatuazione per il nonsense di Carroll in direzione della propria poetica, testimoniato tra l'altro dal fatto che egli colloca Alenka nell'ambiente ceco ricostruendo, in una certa misura, i processi mentali alla base del proprio rapporto con la realtà e della sua sopravvalutazione fantastica dell'infanzia. L'ambiente che circonda Alice s'impadronisce integralmente di lei e diviene sempre più aggressivo come testimoniato della cattiveria nel cassetto ( elemento spesso presente nei sogni infantili) e dalle puntine nascoste nei barattoli di marmellata.
Fino al processo-farsa, nel corso della quale Alice in modo dichiarato smette solennemente di essere un semplice spettatore e un giocatore e diventa invece l'oggetto di una manipolazione distruttiva. Alice viene in un primo tempo sopraffatta dalle piccole creature e passa attraverso una specie di morte simbolica. Gli effetti fantastici alla Walt Disney si corrodono e si trasformano in stregoneria.

Anche se il film è piuttosto lungo l'autore non scade ma in stereotipi o in ripetizioni. Numerosissime sono le gag, i rovesciamenti semantici e i significati nascosti che il film contiene. Per esempio la bambina si trasforma in una bambola quando diventa oggetto della rabbia di mostri brulicanti. Ma lei non si fa mai incutere paura poiché è l’essere più libero.

Nel film Švankmajer mette in evidenza degli aspetti essenziali che nel libro di Carroll sono presenti a livello latente: l'ammirazione per una ragazzina che può tutto in quanto è lei stessa una regina non soltanto nel suo sogno ma regina anche nel sogno ad occhi aperti del suo creatore. E' un omaggio alla donna-bambina, alla donna che domina l'immaginazione maschile, insomma un omaggio alla libertà dello spirito.

 

Darkness, Light, Darkness (1989)

Questo film designa tre “fasi” tra loro radicalmente differenti: dopo il buio primordiale, si accende la luce della cucina, in cui si svolge la creazione dell'uomo. Alla fine, nell'ultima brevissima fase, questo homo miserevole, non certo erectus, impone nuovamente il buio con la propria volontà. Sul piano metaforico il film è una meditazione filosofica sul destino umano unita ad un esercizio di sadomasochismo, nonché il conseguente approfondimento di tutte le possibilità della materia e, in particolare, di quella umana. Cioè, in fin dei conti, dell'immaginazione della materia. La prima cosa che entra nello spazio vuoto e disabitato è una mano che tasta e fruga l'ambiente circostante, affermando così la propria esistenza. Provenienti dalle tenebre sibilanti del cosmo, per secondi entrano gli occhi che rotolano attraverso la porta della casa e saltano sui polpastrelli delle dita. Le orecchie arrivano per terze, poi giunge il naso-olfatto e alla fine la testa intera, realistica come le teste di Possibilità di Dialogo. Anche questa testa dialoga con le proprie membra ed i propri sensi, passando da un iniziale espressione assente ad una aggressiva solo quando si ficca con forza nella scatola cranica vuota il cervello sanguinante e, nella bocca, una lingua vera e altrettanto sanguinante. Il grottesco conglomerato delle membra e della faccia ricorda gli gnomi maligni di Bosch e Breughel. Quasi si trattasse di un gioco infantile  Švankmajer assembla le singole parti del corpo umano proprio come nei suoi oggetti-marionette-ceramiche. Nel proseguio del film egli non tralascia ne il sesso ne il tronco, che alla fin modella con la materia che prorompe attraverso porte e finestre. Nel corso della proprio autocreazione questo omuncolo si tortura. La sofferenza diventa insostenibile solo nell'attimo in ci completa il suo corpo, che riempie totalmente il luogo della sua nascita. Respira affannosamente, prigioniero della sua cella: si può solo supporre il perché decida di spegnere la lampadina al centro della “casa natia” in cui era stato gettato pezzo per pezzo piuttosto che abbattere con un calcio, come fa Alice, i muri della propria prigione. In questo film  Švankmajer parafrasa non soltanto l'atto biblico della creazione ma anche la trasmutazione alchemica. Anche il suo tradizionale antiestetismo raggiunge il culmine, senza diventare un gesto sterile o vuoto. Tutto le concezioni estetiche, tanto quelle tradizionali quanto quelle delle avanguardie,sono completamente assenti. La creazione e la vivificazione, che sono temi secondari o significati nascosti nella maggior parte dei suoi film, in questo caso vengono presentati in modo diretto e inatteso. Lo sceneggiatore, il regista e l'artista fusi in un' unica persona si limitano a creare in perfetta libertà senza nessun omaggi a nessuno e a nulla.

 

Faust (1994)

Il secondo lungometraggio di Švankmajer  risale al 1994. Il film è una parabola ricca di possibilità interpretative sul tema classico di Faust. Una rielaborazione fantastica che contiene un aspetto mistificatorio  ed un monito, attuale ed agghiacciante, a tutti gli apprendisti maghi.
In questo lungometraggio ci viene mostrata una lunga serie di scene affascinanti come quella dell'esorcismo, che rappresentano nella sua opera un ulteriore evoluzione. La bocca parlante della testa d’argilla del diavolo è una caricatura raccapricciante della testa di Faust: il suo alter ego  che gli suggerisce le battute. Quella di Svankmajer è una posizione filosofica molto originale e l'animazione fantastica non è per lui solo uno dei mezzi espressivi dell'opera ma il suo motore, il suo frammento. Lui stesso dice: "l'animazione e gli oggetti , la metamorfosi delle loro funzioni nell'ambiente reale in combinazione con l'uomo vivo, crea l'irrazionalità concreta, la madre della sovversione. L'animazione è magia e l'animatore è una sua mano". Il film interroga sul senso della creazione e del gesto creativo, sull'assenza, sul processo della creazione e sulle sue forme.

 

Svankmajer e i fratelli Quay L'opera dei fratelli Quay è spesso accostata a quella di  Švankmajer e all'ispirazione che essi ne hanno palesemente tratto. Come hanno detto i fratelli stessi, “i suo lavoro ci ha fatto perdere la paura”. Nel 1984 i Quay e il loro produttore Keith Griffiths giunsero a Praga per produrre un film significativamente intitolato The Cabinet of Jan Švankmajer. Si trattava di un aperto omaggio al maestro cèco, che gli permise tra l'altro di raggiungere una maggiore notorietà anche in Europa occidentale. Successivamente, ciò si sarebbe trasformato in ulteriore coinvolgimento, dal momento che il produttore dei Quay avrebbe cooprodotto il primo lungometraggio di Švankmajer, Alice, e i seguenti Faust e I Cospiratori del Piacere. Il terreno comune del loro lavoro è l'animazione tridimensionale  e, come afferma Timothy, “la tattilità degli oggetti”. I loro film condividono lo stesso tipo di atmosfera in cui oggetti e pupazzi abitano mondi ruvidi e sudici dai contorni oscuri. Tuttavia i loro approcci verso il fare film sono molto diversi: i film di Švankmajer solitamente tendono a una conclusione, mentre quelli dei Quay sono a finale più aperto; Švankmajer dirige i suoi film, i Quay non solo dirigono ma curano anche tutta l'animazione, cui non rinuncerebbero mai. Altro elemento di differenza è il rapporto con la musica. Come già detto la musica per i fratelli Quay è linfa vitale e coautrice della sceneggiatura. Hanno spesso affermato che il loro intento sarebbe quello di arrivare ad una musicalizzazione dello spazio in modo che il lavoro possa seguire le leggi della musica piuttosto che quelle della drammaturgia.

Mentre  Švankmajer così afferma: “Ad un certo punto la musica mi è venuta in odio. In confronto agli altri generi di arte la musica è totalmente astratta e non è capace di sostenersi da sola tantomeno di dare corso ad un pensiero ne all'immaginazione. Inoltre manca del tutto di una dimensione noetica. Agisce solo su quella parte della nostra personalità soggetta ai cinque sensi. (...)

Nei miei film costruisco la parte musicale dai rumori concreti, gli unici in grado di creare un ambiente sonoro realistico per l'azione e le immagini fittizie”.  C' è un solo compositore con cui  Švankmajer ha collaborato, Zdenek Liska, che afferma essere l'unico che riesce a cogliere dei “ritmi occulti” nei film anche la dove se ne ignorava l'esistenza.

Anche se accostati entrambi al movimento surrealista, il loro modo di approcciarvisi riscontra delle differenze. Per Švankmajer gli oggetti hanno una storia, il ricordo di una vita/funzione precedente che attraverso il contato sono in grado di rivelare associazioni di idee e accostamenti provenienti dai nostri impulsi inconsci. I Quay usano il medesimo processo, ma piuttosto che usare contenuti precedentemente stabiliti, preferiscono crearne di nuovi . Mentre Švankmajer si proclama “militante surrealista” i due fratelli non sono legati  a tale movimento come non appartengono a nessun altro, semplicemente perché ne hanno assorbiti parecchi. In effetti è questo bagaglio culturale e il loro giocare con un ampia gamma di elementi artistici e tradizioni culturali che distingue il loro lavoro da quello dei film del regista cèco.

Per quanto riguarda l'uso e l'animazione dei pupazzi nei film, in  Švankmajer  si possono trovare spesso attori “reali” che dividono l'ambiente con pupazzi. Per lui il Corpo è uno “strumento” libero che può trasformarsi secondo lo sviluppo dei film. Nei suoi film vi sono molti esempi  in cui i pupazzi non solo condividono lo spazio, ma rimpiazzano letteralmente gli attori e, grazie alla qualità dell'animazione, le loro reazioni sembrano così naturali da far quasi dimenticare che si tratta di pupazzi.

Questo costante interagire tra animato ed inanimato, tra Corpo “reale” e Corpo “altro”, non solo caratterizza il lavoro di  Švankmajer, ma ne stabilisce anche il processo di identificazione. Prima facciamo riferimento al Corpo “reale”, poi, da un certo punto in avanti, ne consegue la sua metamorfosi. Il Corpo viene dunque concepito come oggetto sperimentale in se stesso. Sebbene condividano la stessa atmosfera,  Švankmajer è interessato allo scheletro mentre i Quay sono più interessati alla carne. Nel loro lavoro non troviamo più questo interesse strutturale  e il Corpo è una metafora del desiderio: i pupazzi desiderano ardentemente la carne, con la stessa intensità con cui noi umani siamo alla ricerca del significato dell'esistenza. Essi ricevono la vita dall'esterno: lo sputo in Street of Crocodiles, la mano in Rehearsals for Extinct Anatomies, il sangue colato nel pupazzo in The Cabinet of Jan  Švankmajer... Il Corpo è sempre presente, non come una cosa completa che si tende e si contrae come in  Švankmajer, ma come qualcosa che si lacera, si disperde attraverso molti film.

 

LA chiave alchemica e carrolliana In  Švankmajer e nei fratelli Quay si possono trovare diversi riferimenti all'alchimia. Ma come spesso accade per chi possiede una conoscenza esoterica, non ci sono dichiarazioni che diano ragione a questa chiave di lettura. I fratelli riferiscono  di possedere molti libri  sull'alchimia ma di non averne mai letto alcuno, poiché quasi tutti in lingua straniera. Dicono però di trarre spunti dalle illustrazioni presenti in essi. Ma come non vedere nel vecchio custode del teatro, che in Street of Crocodrille fa cadere la saliva nella macchina ottica, una metafora con l'alchimista che accende l' Athanor per dare inizio alla processo di trasmutazione?

In The Epic of Gilgamesh  portano addirittura in scena una storia conosciuta in ambiente esoterico e in cui ritroviamo il gicitato riferimento alla ricerca alchemica di ciò che crea la vita e dona l'immortalità. Per arrivare a  The Cabinet of Jan Švankmajer dove sul pavimento dello studio del maestro ceco, i Quay rappresentano una cosmogonia. Ciò sta a significare che i due fratelli conoscevano bene gli interessi esoterici di Jan e ancora una volta porta a dubitare sulla loro ignoranza in questo ambito. Nell'opera di  Švankmajer  vi sono riferimenti espliciti all'esoterismo.

Historia Naturae  dedicato a Rodolfo II, conosciuto per aver ospitato alla sua corte di Praga numerosi alchimisti.

Nella seconda parte  di Possibilità di Dialogo l'uomo (zolfo) e la donna (mercurio) rappresentano i due elementi opposti che creano l'Uno.

In Darkness, Light, Darkness l'uomo plasma se stesso (la materia che trova in se la forza per compiere la trasmutazione) rimanendo però intrappolato.

In Faust vediamo addirittura il protagonista entrare in un laboratorio alchemico e alimentare con il proprio fiato il fuoco dell'Athanor che genererà dal fango un neonato.

In tutti questi lavori, l'opus rimane incompiuto: in Possibilità di Dialogo l'intesa dei due elementi non è sufficiente per riuscire a portare a termine l'opera, in  Darkness, Light, Darkness la trasmutazione avviene ma rimane intrappolata dentro i limiti che l'uomo stesso si crea e nel Faust l'opera è imperfetta tanto che il neonato invecchia in pochi minuti e muore. Elemento indispensabile per portare a termine l'albedo è quello di purificarsi da ogni desiderio e peccato. Altrimenti la perfezione e l'onniscenza non possono essere raggiunte.  Švankmajer pare suggerirci proprio questo: l'uomo è imperfetto  e quindi il compimento dell'opus alchemico rimane un utopia.

Altro elemento che accomuna  Švankmajer e i Quay sono i riferimenti ad Alice di Lewis Carroll, autore che trova nell'esoterismo un campo fertile da cui trarre ispirazione. Infatti sia Alice nel paese delle meraviglie, sia il seguito, Alice nello specchio hanno una doppia lettura, quella delle fiabe per bambini e una più “sottile” e nascosta, ricca di riferimenti e simboli.  Švankmajer mette in scena la fiaba di Carroll riprendendone i significati nascosti, estremizzandoli e arricchendolo di concetti appartenenti al surrealismo. Nei fratelli Quay troviamo molti aspetti “carrolliani” come la sproporzione che si instaura tra i corpi e lo spazio, nella volontà di attraversare lo specchio per collocarsi in un visibile in cui le connessioni normalmente stabilite tre le cose non coincidono più. La serie Stille Nacht, poi, con una piccola Alice e un coniglio, è scopertamente carrolliana. Anche in questo caso i due fratelli sono restii ad ammettere le influenze che Carroll ha avuto sulle opere affermando di non aver mai letto la fiaba. Ancora una volta riesce difficile credere alle loro parole davanti a “coincidenze” così definite.

Che siano comunque pio meno vere le influenze alchemiche e carrolliane sulla poetica del maestro ceco e dei due fratelli, il fatto stesso di animare  gli oggetti gli porta ad essere assimilati all'alchimista che, nell'attimo della trasmutazione, incontra il segreto dell'esistenza per donare alla materia il movimento, la vita. 

Fratelli Quay e Yan  Svankmajer

l'alchimia nell'animazione